Eolico, nell'Adriatico 188 pale alte 300 metri

Eolico, nell'Adriatico 188 pale alte 300 metri
di Andrea TAFURO
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Venerdì 4 Marzo 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 21:51

Il destino energetico del Salento diviso tra l’allarme per il consumo di suolo e oltre 30 nuove richieste di impianti di rinnovabili: 25 giunte in Provincia (strutture fino a 10mila Mw) e altre 5 al vaglio del ministero dell’Ambiente (oltre i 10mila Mw). Di questi 5 impianti: un fotovoltaico, due eolici a terra, gli altri due sono i parchi eolici offshore di cui tanto si sta dibattendo in queste settimane e che dovrebbero sorgere sulla costa adriatica. Il primo a nord, tra Lecce e Brindisi, con 98 pale in mare alte 300 metri, progettato dalla società Falck Renewables; il secondo lungo la costa tra Otranto e Santa Cesarea Terme, con 90 torri alte 268 metri, progettato dalla società Odra Energia. In tutto 188 torri.
 

Dal Gargano a Leuca: 12 progetti offshore

Progetti la cui valutazione è di competenza dello Stato, ma che nel Salento hanno incontrato da subito l’opposizione dei sindaci delle comunità coinvolte, preoccupati sulle ripercussioni che potrebbe avere sull’attività turistica, e le perplessità di Legambiente condivise dal vice presidente regionale Cristian Casili. 
«Ho già evidenziato l’attenzione con cui il governo regionale deve affrontare gli impatti cumulativi, che progetti come Odra possono generare lungo la costa adriatica, che dal Gargano a Leuca conta ben 12 progetti». Ma non è tutto. Nel Salento, al vaglio dell’ufficio ambiente della Provincia di Lecce, guidato dal dirigente Antonio Arnò, sono presenti altre 25 pratiche per la realizzazione di impianti fotovoltaici in corso di valutazione, e che interessano soprattutto i centri di Galatina, Copertino, Leverano, Lecce, Salice Salentino e i terreni al confine con la provincia di Brindisi. Complessivamente su scala regionale sono 410 i progetti di rinnovabili in attesa di analisi. 

 

Consumo del suolo

In questo contesto si inserisce anche l’analisi di Coldiretti Puglia sul “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”. In Puglia – secondo i dati emersi - sono stati consumati in 15 anni, 157.718 ettari di suolo, con le forme di consumo riferite ai nuovi impianti fotovoltaici installati a terra che hanno assorbito il 37% del suolo consumato tra il 2019 e il 2020.  In un anno, di fatto, la Puglia ha perso altri 493 ettari di suolo tra cementificazione, abbandono delle campagne e impianti fotovoltaici a terra. Nello stesso periodo la quota dei consumi complessivi di energia coperta da fonti rinnovabili è stata del 16,9%, dunque superiore ai valori imposti dal decreto ministeriale del 15 marzo 2012 per il 2018, che chiedeva una produzione pari all’11,9%, e sia all’obiettivo da raggiungere nel 2020 pari al 14,2%.

Arpa: 4.600 ettari per il fotovoltaico

Quadro che si completa con i dati rilevati da Arpa Puglia nel periodo pre pandemico che evidenziano come in Puglia siano stati realizzati campi fotovoltaici a terra per più di 4.600 ettari, per lo più concentrati nel Salento (province di Brindisi e Lecce), molto variabili come dimensioni (da 1 sino a 40 ettari), spesso frammentati ma localizzati nelle stesse aree. E fra le colture più interessate dall’occupazione degli impianti, oltre ai seminativi in aree non irrigue vi sono i vigneti e gli uliveti.

Dati che spingono il consigliere regionale Paolo Pagliaro ad una dura presa di posizione. «Combattiamo da oltre 15 anni contro le speculazioni sul nostro territorio che è stato devastato con i pannelli fotovoltaici senza nessuna pianificazione. Per giustificare hanno suggestionato le persone col rincaro delle bollette e invece la Puglia produce più del necessario, basta guardare i dati gse. Ribadisco, però, che noi siamo a favore delle rinnovabili, sui tetti delle case, sui tetti dei condomini, nelle zone industriali e artigianali e le zone Sin, ed anche alla nuova tecnologia che sfrutta ogni spazio utile, alle comunità energetiche. Siamo favorevoli all’agrovoltaico ma non come cavallo di Troia per la speculazione. In Regione – conclude Pagliaro - abbiamo chiesto che si proceda con l’aggiornamento del Pear, perché è l’unico strumento che abbiamo per fissare dei paletti, per rimettere in equilibrio le esigenze di tutela dell’ambiente e del paesaggio con quelle dello sviluppo economico».

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