«Non volevo che restasse solo un cadavere. Mio figlio vive perché ha ridato la vita»

«Non volevo che restasse solo un cadavere. Mio figlio vive perché ha ridato la vita»
di Maddalena MONGIO'
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Giovedì 11 Ottobre 2018, 17:21 - Ultimo aggiornamento: 12 Ottobre, 19:18
 «Non volevo che rimanesse un cadavere, ma che desse vita». La frase non ha bisogno di aggettivi ed è pronunciata da una mamma di Cursi, Mina Marrocco, che ha perso lo scorso agosto il figlio 26enne – Gianmarco Chilla – per un incidente stradale lo scorso agosto  dal quale non ha avuto scampo. Ha voluto donare gli organi di quel figlio amatissimo, una scelta condivisa con il marito Gino e l’altro figlio Gianluca.
Nessun dubbio e nessuna incertezza per questa famiglia da sempre impegnata a soccorrere chi ha bisogno. La vita li ha messi duramente alla prova, ma per mamma Mina, Gianmarco non è morto: «È una frase che pronuncio razionalmente, ma per me lui non è morto: ha solo un’altra forma di vita. Quando vado al cimitero non vedo un corpo che si sta consumando perché mio figlio mi dice che vive, sta vivendo nel corpo di altri. Non importa chi ha ricevuto gli organi di mio figlio: può essere l’ultimo degli ultimi, può essere povero, ricco, bianco o extracomunitario, l’importante è che lui sia un angelo tra gli angeli. Ho voluto vivere la mia cristianità e ringrazio il Signore perché nella fatalità, nel momento dell’incidente, Lui me l’ha prediletto dandoci la possibilità di arrivare a poter donare gli organi. Poteva morire sul colpo e non avremmo potuto fare niente».
Papì, come affettuosamente era chiamato in famiglia Gianmarco, aveva la vita davanti. Era un bel ragazzo pieno di vota e voglia di fare: «Mia madre diceva che sono come il mare, sempre in movimento e Gianmarco era come me, solo che lui aveva anche classe», ricorda Mina Marrocco con l’emozione che le incrina la voce, senza permettere al pianto di farsi strada. La sorregge una fede incrollabile, quella stessa fede che l’ha portata a dire subito al cappellano dell’ospedale “Vito Fazzi”, don Gianni Mattia, che gli organi del figlio dovevano dare vita. Voleva fare l’ingegnere, studiava a Pisa e si sarebbe laureato a breve, come il padre e come il fratello prima di lui, andare in Australia dopo la laurea, ma un destino crudele lo ha spinto verso un altro viaggio quando era nel fiore degli anni.
«Per un genitore è innaturale assistere alla morte di un figlio – dice mamma Mina mettendo a nudo il suo cuore – eppure dentro di me avevo un presentimento che non capivo bene. Tre ore prima dell’incidente che ce l’ha portato via l’ho abbracciato forte e gli ho detto “Papì torna presto”, lui ha sorriso e ha detto a suo padre che era sempre più difficile liberarsi di me. Non voglio descrivere mio figlio come fosse un santo, ma era un ragazzo che viveva per gli altri, si preoccupava di tutti. Era un vulcano di idee e lo anche ora che sta lassù».
Era la notte di Ferragosto, quando accade l’incidente. Gianmarco quella sera non sarebbe dovuto stare in quell’auto, aveva rinunciato alla serata con gli amici per un impegno con il fratello. Alla fine salì su quell’auto senza sapere che stava andando incontro ad un appuntamento da cui non sarebbe tornato. Ora la famiglia vuole onorare la memoria del figlio perduto con una fondazione per aiutare i giovani e aiutando don Gianni Mattia a realizzare la casa di accoglienza per le famiglie, all’interno del Fazzi, che si trovano a dover affrontare l’attesa straziante dietro la porta del reparto di Rianimazione.
«Me lo dice Gianmarco di continuare ad aiutare gli altri – sottolinea Mina Marrocco – abbiamo sempre aiutato i giovani, mio marito è stato per molti anni presidente dell’associazione Frates. La donazione degli organi non è una decisione che arriva improvvisa, c’è un percorso dietro e io parlo dell’esperienza vissuta con Gianmarco per sensibilizzare chi si trova in analoghe situazioni. Lo abbiamo fatto per amore di nostro figlio e per la fede cristiana».
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