“Guerrieri” del Covid in campo negli ospedali, nuova sfida: fra loro c'è chi ha lasciato il posto fisso

“Guerrieri” del Covid in campo negli ospedali, nuova sfida: fra loro c'è chi ha lasciato il posto fisso
di Maddalena MONGIò
4 Minuti di Lettura
Lunedì 19 Ottobre 2020, 08:31 - Ultimo aggiornamento: 10:15

I guerrieri e le guerriere del Dea Fazzi di Lecce pronti a combattere il Covid: il reparto torna a trasformarsi e si trasferisce. Dal primo al quarto piano, questione di giorni. L'ordinario che lascia spazio alla trincea. Era già accaduto in primavera, ci risiamo. Medici e infermieri del reparto di Pneumologia Covid del Dea diretto da Francesco Satriano, svelano il backstage della lotta alla pandemia. E raccontano la lotta in trincea per combattere un nemico invisibile, cruento, che non lascia scampo se chi viene contagiato malauguratamente si trova in un momento di fragilità a causa della sue condizioni di salute.


Paura: nessuno nega di averla provata e di nutrire preoccupazioni per la nuova ondata, in particolare sul piano personale perché questo impegno sconvolge la vita privata di chi è in prima linea. Coraggio: ha animato tutti, anche chi in prima battuta avrebbe fatto a meno di stare gomito a gomito con una malattia altamente contagiosa. Umanità: non solo camici e divise bianche, ma anche la mano sulla coscienza e sul cuore perché i pazienti Covid chiedono un rapporto più stretto del solito visto che l'unico contatto umano che possono avere è con gli operatori sanitari. E non solo.


Aspetto non secondario: ognuno dei medici, degli infermieri, degli operatori socio sanitari che si sono dedicati alla cura e all'assistenza dei contagiati, ha messo a rischio la propria vita per curare gli ammalati. I ricordi non sono lontani nel tempo e ora che cresce l'allerta (il reparto di Pneumologia del Dea, al momento attivo per il ricovero di pazienti no-Covid, sarà a brevissimo convertito alla cura e all'assistenza dei contagiati e sarà trasferito al quarto piano dell'ospedale destinato in origine al reparto di Neurochirurgia e alla stroke unit della Neurologia) la Regione ha chiesto che i posti letto siano portati a 40 per supportare anche eventuali ricoveri di pazienti provenienti dal Barese o dal Foggiano. In queste ore il primario Satriano e i suoi stanno studiando i percorsi da sottoporre al vaglio della direzione generale, studiati in modo che non si verifichino contaminazioni dei reparti no-Covid che dovranno essere trasferiti dal corpo centrale del Fazzi. In questo clima di pericolo dietro l'angolo, esacerbato dal numero di contagi che crescono, sembra che le lancette dell'orologio siano tornate alle ore convulse di marzo quando si ragionava dei rischi possibili e del loro eventuale impatto.


Guerrieri e guerriere, ma colpisce il grande impegno dei giovani infermieri: la più giovane 26 anni, i più anziani 29enni che si sono rimboccate le maniche quando altri, magari con più tutele contrattuali (la maggior parte degli infermieri impegnati in Pneumologia Covid sono stati assunti per un anno, per fronteggiare l'emergenza sanitaria) ha detto no grazie.

E sono loro che oggi sono la testimonianza più viva della bellezza e della valenza della professione infermieristica che ha come comandamento quello di salvare vite.


Una testimonianza significativa. Due di loro - la 26enne Ilaria Lonoce (la più giovane dell'equipe multidisciplinare della Pneumologia del Dea) e il 27enne Salvatore Corvino - hanno rinunciato al porto sicuro del posto a tempo indeterminato per abbracciare la sfida più pericolosa della loro giovane vita: la guerra al Covid. Così Satriano sottolinea la necessità che l'abnegazione di chi non si è sottratto alla chiamata alle armi sia premiata.
«Infermieri e medici che hanno prestato servizio nei reparti Covid si sono seduti accanto al paziente rende noto Satriano l'hanno rassicurato, hanno mantenuto il contatto con i familiari. Tra questi operatori sanitari c'è chi non ha un contratto a tempo indeterminato, ma credo che questo servizio debba essere un titolo valutabile ai fini dei concorsi, per cui dovrebbero partire da una scala più alta. Gli infermieri che hanno lavorato per il Covid sono quasi tutti assunti a tempo determinato, ma questi giovani dovrebbero essere stabilizzati».


Un tasto dolente, questo. I giovani che con abnegazione hanno buttato il cuore oltre l'ostacolo affrontando una sfida che ha spaventato tanti loro colleghi, non hanno certezze per il loro futuro professionale. A marzo cominceranno a scadere i primi contratti e a seguire tutti gli altri. E non si tratta solo di ripagare chi si è impegnato con sprezzo del pericolo, ma anche di non perdere quelle professionalità che Asl Lecce ha formato e quella sinergia che si è creata nel gruppo di lavoro importante ai fini del buon esito del decorso clinico della malattia.


Negli occhi e nel cuore di queste donne le scelte difficili: non vedere i figli per tre mesi, guardare il corpo di chi non ce l'ha fatta e non ha potuto avere un parente a tenergli la mano o fargli sentire una voce cara, sopportare turno di lavoro straordinari, aprire le braccia alla sofferenza e al dolore di chi teme che la vita possa lasciare il suo corpo. Sull'altra faccia della medaglia l'ingratitudine e le discriminazioni che non meriterebbero. Il titolare della palestra che dice all'operatore sanitario impegnato sul Covid che sarebbe preferibile non si iscrivesse «perché tutti i clienti scapperebbero» o i genitori che dicono ai figli di non stare accanto a chi ha il papà o la mamma che lavora in un reparto Covid. Questa la parte triste.

© RIPRODUZIONE RISERVATA