“Fine attività”: troppi vuoti. Ecco chi si è arreso al covid

“Fine attività”: troppi vuoti. Ecco chi si è arreso al covid
di Francesca Sozzo
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Mercoledì 2 Giugno 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 4 Giugno, 07:40

Non tutti sopravvivono al covid. La pandemia, che da un anno miete vittime, non colpisce solo fragili, anziani, uomini e donne: il virus sarà ricordato anche per il suo effetto devastante sull’economia di pubblici e privati. Una “variante” per la quale non esiste vaccino. E in una Lecce che sta pian piano ricominciando a vivere, con il sole alto che riscalda perfino i banchetti degli operatori dell’ingegno che tornano a riproporre i propri manufatti su Corso Vittorio Emanuale, le saracinesche abbassate e i portoni sbarrati delle attività commerciali iniziano ad essere davvero tante. 

La resa di tanti imprenditori

«Non c’è stata altra scelta». A nulla sono serviti gli aiuti del governo, arrivati spesso in ritardo e in maniera esigua per far fronte ad affitti, bollette e personale da pagare, mentre il covid andava avanti imponendo chiusure, lockdown, stop and go di attività. Chiudere era l’unica soluzione. Due lockdown a distanza di un anno l’uno dall’altro hanno costretto tanti imprenditori a scelte drastiche, chiusure forzate, in alcuni casi non volute, ma necessarie. «Il rischio era quello di continuare ad indebitarsi». Allora meglio salvarsi. 
Non riaprirà il Bar Piccadilly in via Gaetano Argento all’angolo con viale Michele De Pietro: la chiusura prolungata di scuole, tribunale e università che si trovano nelle vicinanze hanno messo in ginocchio l’attività. Le vetrine del bar sono coperte da carta, impossibile vedere cosa sia rimasto all’interno, ma su ogni vetrina è affisso il cartello “affittasi”. Le agenzie immobiliari ci provano, d’altronde la ripartenza e il ritorno alla vita normale, con il numero dei vaccinati che cresce, potrebbe dar vita a nuove opportunità. 

«Non avevo possibilità di andare avanti»

Carta sulle vetrine anche per il Cream, il bar accanto al cinema Massimo. Chiuso da tempo, tutto lascia pensare che per il momento non riaprirà sebbene sia stata montata la pedana per l’esterno; i commercianti che hanno attività nelle vicinanze non hanno notizia certe sulla chiusura. Ma al momento è tutto fermo. 
Anche il Piccolo Bar su via XXV Luglio, angolo via di Biccari non è sopravvissuto al covid. Malconcio, con alcune vetrine rotte, l’antico bar è ormai chiuso da tempo e sembra non avere alcuna intenzione di riaprire. Così come non riaprirà la pizzeria La Magiada, su Corso Vittorio Emanuele: «Non avevo più possibilità di andare avanti», ha spiegato Gianni, l’ex proprietario che ha venduto la sua attività dopo 25 anni. «Tre anni fa avevo ristrutturato tutto il locale - ha spiegato - ma il primo lockdown ci ha messo in ginocchio.

Il secondo è stato fatale». Il virus ha creato danni permanenti, proprio come accade a chi viene colpito dal covid: «Ho perso tutto il personale» a cui era necessario anticipare la cassa integrazione, «c’erano l’affitto da pagare e le bollette. Ma è stato impossibile sopravvivere al virus», dice Gianni con la voce segnata da amarezza. Eppure ci ha provato a trovare la cura Gianni, per difendere la sua attività: «Fino a qualche settimana fa abbiamo lavorato con l’asporto, aprendo solo il fine settimana, ma noi non siamo nati come pizzeria d’asporto. Non c’è stata altra scelta» se non quella di chiudere e vendere la pizzeria. La Magiada “rinascerà” certo sotto un altro nome, con un’altra veste. Ma non per ora.

Anche l'artigianato in crisi

A pochi passi dal Duomo a chiudere baracca e burattini anche un negozio di ceramiche: locale vuoto, interni desolati e portone sbarrato. Chiuso. Non c’è alternativa. Anche qui il cartello affittasi con la speranza che qualche coraggioso abbia ancora voglia di investire. 
Chiuso anche il Green, locale che si trova su via Rubichi, negli spazi del Palazzo che ospita il Circolo Cittadino e il Tar Lecce. Non ha riaperto nel post lockdown e l’annuncio sui portali di vendita di esercizi commerciali è ancora lì.
Una città aperta in cui si registrano vuoti, troppi. Come accade nelle strade intorno a via Umberto I. Tre le botteghe chiuse. «Da qualche anno si registrava già un po’ di crisi, poi il covid è stata la svolta: ho capito che era arrivato il momento di chiudere, c’era il rischio di indebitarsi», racconta Carmen Rampino, artista della cartapesta con il laboratorio che si affacciava su Santa Croce. Ha chiuso la sua attività dopo 35 anni «subito dopo il primo lockdown, appena ci hanno riaperto ho svuotato il laboratorio» lasciando non solo la sua attività ma anche la zona «in cui sono nata e cresciuta. Ma la vita cambia nel giro di poco tempo, e non sono pentita della scelta». Carmen ora produce le sue opere a casa «sono anche meno legata alla richiesta che c’era in negozio e ho più tempo libero», ammette dopo un anno e «ho ormai metabolizzato la scelta». Difficile, certo, come tutti quelli che si sono visti costretti a cambiare vita dopo una lunga malattia. A pochi passi dalla sua bottega altri due negozi di artigianato hanno chiuso i battenti: un negozio di ceramiche e uno di prodotti tipici che si affacciano su piazzetta Riccardi nel cuore del centro storico. Il loro futuro è già segnato: sorgeranno due nuove attività grazie al coraggio di imprenditori leccesi. 
Lecce riapre e si avvia verso la zona bianca, ma i danni causati da covid in città sono ancora da quantificare.

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