«Concessioni demaniali nel caos, il vero latitante è il Governo»: parla il presidente del Tar Lecce

«Concessioni demaniali nel caos, il vero latitante è il Governo»: parla il presidente del Tar Lecce
di Alessandra LEZZI
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Domenica 29 Novembre 2020, 12:52 - Ultimo aggiornamento: 12:56

«A me pare francamente paradossale che faccia scalpore una sentenza che ribadisce l'obbligo del funzionario di applicare la legge». Antonio Pasca, presidente del Tribunale amministrativo di Lecce, parla dopo la sentenza con cui ha imposto al Comune di Castrignano del Capo di firmare le proroghe alle concessioni demaniali del Samarinda e di Lido Azzurro. I due stabilimenti le avevano ottenute grazie alla legge 145 del 2018 che stabilisce per le concessioni in scadenza il prossimo 31 dicembre una proroga sino al 2033. A seguito, nel novembre 2019, di una sentenza del Consiglio di Stato che ha imposto la disapplicazione di quella norma ai giudici e all'apparato amministrativo perché in contrasto con l'obbligatorietà dei bandi prevista dal diritto europeo, il Comune aveva ritirato in autotutela i provvedimenti. E le società hanno presentato ricorso e vinto questa prima battaglia.


Dopo i pronunciamenti durissimi della giurisprudenza di ogni ordine e grado, il legislatore aveva l'obbligo di intervenire sul tema? Questo silenzio è una ritirata o un braccio di ferro?
«Nessuna delle due, secondo me. È solo frutto di grande disinteresse o di incompetenza.

Abbiamo sentito tante volte promettere un intervento legislativo che è oltremodo necessario. La stiamo trasformando in un'arena, con i giudici, i funzionari, la politica, l'imprenditoria e le Procure. Il vero latitante è il Governo legislatore».

Il Governo?
«Certo. Da molti anni il Parlamento non fa più le leggi. Lo schema legislativo che abbiamo studiato sui testi non esiste più. Si procede per decreti legge. I centri del potere di legiferare si sono trasferiti sul potere esecutivo dello Stato».

Ma le proroghe vanno concesse o sono in contrasto con il diritto?
«È un diritto averle in questa situazione di complessiva illegittimità in cui lo Stato italiano si trova nei confronti dell'Unione europea. Non esiste una legge interna o una legge esterna, ma una legge applicabile. Negando la proroga non si dà attuazione alla Direttiva Bolkestein. Molto più semplicemente non si fa nulla; anzi, si vìola quella interna senza rispettare quella eurounionale. Ora, io sfido chiunque a dare attuazione alla Bolkestein. Per fare i bandi è necessario un censimento delle imprese balneari, una valutazione del fatturato, della qualità e tipologia dei servizi (da quelli ai disabili, ai presidi medici, alla gestione del personale, al rispetto delle leggi in materia di abusi): tutto questo è indispensabile per quantificare il valore del lido e per stabilire delle premialità. Serve cioè un'attività istruttoria preliminare. Poi devi prevedere le modalità del bando. Io spero che questa sentenza, nella quale credo e che è frutto di una lunga riflessione, serva come momento di valutazioni e autocritica, perché stiamo mettendo il Paese in una situazione di caos. E il fatto che una Procura possa perseguire un funzionario che ha applicato una norma è segno di decadimento dell'intero sistema».


Per chiarezza: la sentenza non mette in discussione l'obbligatorietà dei bandi.
«Assolutamente no. Occorrono i bandi. Il punto è che per farli serve prima una legge. Non possiamo violare gli accordi con l'Unione né andare incontro ad una procedura d'infrazione. Il problema è che per farlo bisogna dare attuazione alla Bolkestein. Torniamo al punto di partenza: il vero latitante è il Governo legislatore. E manca da anni».


L'autonomia dei funzionari, lei scrive, sta creando disparità di trattamento. Ma non si verificherebbe la stessa situazione con i singoli ricorsi post proroga di soggetti interessati ai bandi?
«La differenza è che il potere di disapplicazione non compete al funzionario. È un'attività complessa: si tratta di violare la legge, e nessuno può farlo. Il giudice ha strumenti preventivi funzionali all'eventuale decisione e peraltro sono previsti più gradi di giudizio; per il funzionario diventerebbe un fatto obbligato. Un paradosso».


Ma le proroghe, visto l'orientamento della giurisprudenza, sono per gli imprenditori che le ottengono una garanzia reale? Li preservano rispetto a investimenti economici di lunga durata?
«In un Paese come il nostro non c'è nulla di certo, ma ritengo ci sia una relativa certezza sul fronte investimenti. È vero: la proroga potrebbe essere impugnata da altra società. Ma, ripeto, le gare senza una legge non si possono fare. Suggerirei alle Amministrazioni, nel concedere le proroghe, di prevedere per esempio la clausola di revoca della proroga di 13 anni a fronte dell'approvazione di una normativa di settore. Magari immaginando un preavviso di un anno».


Difficile la vita per i dirigenti comunali in questo periodo?
«È il mestiere più rischioso, si trova tra due fuochi: se non firma la proroga non rispetta la legge, se la firma rischia di essere messo a processo da qualche Procura».

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