Problema irrisolvibile della modernità o opportunità da cogliere, previo adeguato ragionamento lungo? Sui borghi antichi e sul rischio di una deriva consumistica che già si intravede da tempo - anche a Lecce - Antonio Romano, designer salentino di fama internazionale, è ultimativo: non c'è posto, su questi argomenti, per ambiguità di sorta. «Chi ha ruoli operativi su queste tematiche deve finalmente decidere del posizionamento futuro delle città. Lecce è ormai un brand: facciamo in modo che abbia l'appeal di una capitale d'arte, non di un fenomeno di moda».
Auto in luoghi impropri, eccessi di ristoranti e b&b, angoli di vandalismo e sporcizia. Ma i centri storici non erano il fiore all'occhiello delle città?
«Guardi, non possiamo fare processi alla Storia, perché nessuna epoca è infallibile; fra cinquant'anni saremo noi ad essere processati dai posteri per sprechi ed errori. Però qualche considerazione banale si può fare, e parto da una domanda. Roma, il luogo in cui vivo da quarantasei anni, è una città bellissima: qualcuno può forse contraddirmi? Ovviamente no. Ma di quale Roma stiamo parlando? Faccio un esempio personale. Io vivo in piazza Barberini, quindi in pieno centro, e posso per esempio testimoniare il disagio della mia e di altre due famiglie costrette a fare i conti con la raccolta in-differenziata di chi frequenta gli altri appartamenti del palazzo, tutti b&b, dove chi li gestisce non ha interesse a farla, e chi ci sta per cinque giorni neppure: alla fine tocca a noi passare intere serate a separare il tutto.
Inesorabilità della modernità?
«Non direi. Città intelligenti come Parigi hanno risolto al loro affacciarsi, con limiti agli affitti e tasse speciali, certe distorsioni che purtroppo affliggono tutte le città d'arte d'Italia, Lecce compresa. Pensate alla differenza di ciò che sta accadendo tra Roma e Milano: la seconda agone in cui si stanno sfidando i migliori architetti e designer da tutto il mondo, in una ricorsa virtuosa a fare sempre meglio; la prima vittima di un incantesimo che non si riesce a spezzare, con la gente che mangia negli spazi aperti dei ristoranti con accanto i cassonetti dell'immondizia stracolmi e i negozi con i Colossei in vendita a un euro cadauno».
Questione di scelte.
«E insieme di senso di responsabilità e consapevolezza: perché quella milanese, per tornare alla mia contrapposizione di prima, è sempre collettiva, mentre quella meridionale è sempre individuale e si sconta spesso con la prima. Tornando quindi a Lecce, l'origine del nostro ragionamento, basta guardare la radice del nome: l'ecce-llenza. Bisogna quindi cominciare a selezionare la clientela; il buono per tutti non esiste. Un salto di qualità cui la città e il Salento devono iniziare a pensare seriamente: non dimentichiamo che sono venuti gli stranieri a comprare le nostre masserie e ad insegnare a noi indigeni la tutela del territorio. Chi va nei b&b, con tutto il rispetto, segue logiche diverse: di consumo, non di valorizzazione dello stesso».
E poi le botteghe artigiane che spariscono a vantaggio dei supermercati del gadget cinese e dei locali mangerecci, appunto.
«Un problema comune a qualsiasi altra città d'Italia: vai a vedere la chiesa, poi ti viene fame e ti vuoi riposare. È una logica universale, e d'altronde in vacanza non hai proprio voglia di cucinare. Aggiungo il fatto che ormai siamo quasi al punto di break-even tra pasti consumati in casa e fuori: sa cosa mi sono fatto portare io oggi per mangiare, ovviamente in ufficio? Sushi».
Lei è salentino di Maglie, città con un centro storico che non denuncia i problemi di quello di Lecce.
«È anche un dato dimensionale: Maglie ha poco meno di 15mila abitanti e non è mai stata una destinazione, se non per lo shopping. Lecce, invece, lo è ormai da tempo, e allora bisogna ragionarci su: cosa vogliamo che diventi? Quali sono gli elementi di valore da sottolineare? Bisogna leggere tra le cose che ha: Bilbao, per esempio, era una città fallita per via dell'acciaio e dei suoi cicli economici alterni, poi sono arrivati Frank Owen Gehry e il Museo Guggenheim, e a seguire geni come Norman Foster a riqualificare il tutto. A cambiare l'interpretazione della città, a ridare orgoglio anche ai residenti. Da noi, invece, mi pare non si vogliano confronti con i big player.... Scattano le gelosie, poi le contese politiche, poi i finanziamenti bloccati...».
A proposito di residenti dei centri storici, devono essere sempre e solo straordinariamente pazienti, decidere di andarsene - come fanno sempre più spesso: il centro storico di Lecce è di nuovo pieno di vendesi - o vanno comunque coinvolti attivamente nel processo di rifunzionalizzazione?
«Io direi che, per iniziare, le amministrazioni potrebbero decidere per esempio di essere meno tolleranti con i comportamenti incivili, tipo gli schiamazzi notturni e l'imbrattamento dei muri. E poi a stimolare il senso di identità e di appartenenza: noi non abbiamo piena consapevolezza dei patrimoni a nostra disposizione e abbiamo contemporaneamente voltato da tempo le spalle al futuro. E questo spiega trent'anni di declino del Paese».