Cannabis light, è scontro sulle chiusure. Salvini: «La droga fa male»

Cannabis light, è scontro sulle chiusure. Salvini: «La droga fa male»
di Maddalena MONGIò
4 Minuti di Lettura
Sabato 1 Giugno 2019, 09:22
«Mi dispiace per i posti di lavoro, ma il messaggio è chiaro. La droga fa male. Non ce ne sono di quelle che fanno più male e altre meno male. Ed ora via alle ispezione dei negozi». Così Matteo Salvini ha accolto la sentenza delle sezioni unite penali della Cassazione sulla cannabis, che investe direttamente la commercializzazione del prodotto. Dovranno chiudere i battenti i negozi che vendono cannabis light? Questo il punto. Salvini non ha dubbi e ha rilasciato diverse dichiarazioni che non offrono spiragli al dubbio. Ma Federcanapa ha già messo i paletti e annuncia una class action se i negozi saranno chiusi. Lo scontro è già in atto.

La Federazione, nata per tutelare i coltivatori e i primi trasformatori di canapa, non ci sta e ritiene che la Cassazione non abbia scritto il de profundis per la commercializzazione della cannabis light. Questo il quadro d'insieme. La prefettura di Lecce, intanto, aspetta le motivazioni della sentenza, ma è certo che stanno lavorando al monitoraggio richiesto da Salvini con una direttiva, firmata dal capo di gabinetto Matteo Piantedosi, per fare «un'approfondita analisi del fenomeno, che tenga conto di tutti i fattori di rischio».

Già a dicembre erano stato avviati dalla Procura di Lecce controlli sulle sostanze vendute nel distributore automatico di cannabis light di piazza Palio: dalle analisi di laboratorio dei carabinieri del Nas la soglia del principio attivo è stata talvolta superata. Gli atti sono stati trasmessi alle Procure delle città dove vengono confezionate le bustine, per i provvedimenti del caso.

Intanto in queste settimane nel Salento è corsa alla mappatura. La prefettura di Lecce è partita con i monitoraggi nei Comuni più popolosi: Lecce, Casarano, Galatina, Nardò, Gallipoli e Maglie. A metà giugno è previsto un nuovo vertice del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, allargato alla partecipazione di rappresentanti della Regione, dei sindaci dei Comuni più popolosi e di quelli in cui sono presenti negozi che vendono cannabis light.

Entro la fine del mese la mappatura deve essere inviata al ministero dell'Interno, ma è evidente che il lavoro non si ferma qui. La sentenza della Cassazione ha aperto la porta a chi vuole la chiusura dei negozi di cannabis light, ma c'è chi si aggrappa all'ultimo rigo del dispositivo che dà il salvacondotto ai prodotti che «siano in concreto privi di efficacia drogante».

Federcanapa, infatti, poggia su quest'ultimo rigo la convinzione che i negozi non possono essere chiusi: «La soluzione delle sezioni unite penali della Corte di Cassazione non determina a nostro parere la chiusura generalizzata dei negozi che offrono prodotti a base di canapa. Il testo della soluzione dice infatti chiaramente che la cessione, vendita e in genere la commercializzazione al pubblico di questi prodotti è reato salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante. Pertanto la Cassazione ha ritenuto che condotte di cessione di derivati di canapa industriale privi di efficacia drogante non rientra nel reato di cui all'articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti».

La stessa Cassazione, con una precedente pronuncia, aveva fissato la soglia di efficacia drogante del principio attivo Thc allo 0,5 per cento, ma è altrettanto vero che nel dispositivo della sentenza ultima viene esclusa la commercializzazione di cannabis. «La commercializzazione di cannabis sativa si legge nel dispositivo e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicazione della legge 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole».

I primi giri di vite c'erano già stati tra luglio e settembre dello scorso anno con due circolari del ministero dell'Interno, ma la stretta si è fatta più decisa ai primi di maggio con l'invio della direttiva ai prefetti e la novità sulla distanza da scuole, ospedali e chiese. «Le preminenti ragioni della tutela della salute e dell'ordine pubblico messe in pericolo dalla circolazione di siffatte sostanze è scritto nella direttiva dovranno, altresì, essere segnalate agli enti locali affinché le tengano in debita considerazione in relazione alle possibili nuove aperture di simili esercizi commerciali, prevedendo una distanza minima di almeno cinquecento metri dai luoghi considerati a maggior rischio. Un provvedimento sul modello di quello che ha già interessato le sale da gioco, assunto nella consapevolezza che il consumo delle cosiddette droghe leggere rappresenta spesso un viatico per l'assunzione di quelle pesanti».
Gli interessi in gioco di produttori, trasformatori della materia prima, commercianti, sono notevoli e quindi la battaglia è scontata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA