«Arrabbiato perché respinto»: De Marco spiega l'uccisione di Eleonora e Daniele. Il progetto maturato da agosto

«Arrabbiato perché respinto»: De Marco spiega l'uccisione di Eleonora e Daniele. Il progetto maturato da agosto
di Valeria BLANCO
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 7 Ottobre 2020, 19:23 - Ultimo aggiornamento: 8 Ottobre, 19:04

Tristezza e rabbia, crisi di pianto. Solitudine. Un «restiamo amici», la delusione d'amore incassata un paio di mesi prima. Persino un atto di autolesionismo - un taglio sulla caviglia con un coltello rovente - e poi quella svolta, dal fare del male a se stesso a volerlo fare agli altri. Pensieri ricorrenti. «Il 21 settembre ero più arrabbiato del solito, a volte riuscivo a fermare quei pensieri, quel giorno no». L'omicidio - quello dell'arbitro Daniele De Santis e della compagna Eleonora Manta - era già stato ipotizzato prima della metà di agosto, prima di lasciare l'appartamento di via Montello. Ma una vera ragione per colpire proprio loro due, in definitiva, non c'è: «Non so neanche io che cosa mi ha spinto a fare quello che ho fatto».

La mamma dell'assassino scrive alle madri di Eleonora e Daniele: «Vi chiedo scusa. Ora conosco il vostro dolore»


Tra i tanti non lo so, gli innumerevoli non ricordo, dall'interrogatorio di Antonio De Marco - il 21enne studente di Scienze infermieristiche che ha confessato di aver commesso il duplice omicidio del 21 settembre - emerge qualche elemento in più sul contesto in cui è maturato il delitto. Nessuno screzio con Daniele ed Eleonora, però. Anzi, con loro condivideva la casa, ma ci aveva scambiato appena qualche parola. Daniele una volta gli aveva proposto di iniziare un corso per diventare arbitro, ma «non eravamo in confidenza». Per il resto, infatti, ognuno stava nella sua stanza, non si incontravano neppure in cucina per pranzo. «Ricordo molta rabbia e ogni tanto avevo non lo so, come delle crisi in cui scoppiavo a piangere all'improvviso», spiega Antonio al gip Michele Toriello nel corso dell'interrogatorio in carcere per la convalida dell'arresto.


I pezzi di quell'omicidio messi insieme piano piano, pezzo per pezzo, proprio nei momenti in cui la rabbia montava. Prima le chiavi, duplicate in una ferramenta di Casarano a metà agosto. Ma forse con l'idea di entrare in casa solo per rubare. «Volevo avere il controllo». Quando compra il coltello, però, l'ipotesi che volesse solo rubare non regge. Lo compra alla fine di quello stesso mese, scegliendolo tra tanti in un negozio di Lecce: «Ho visto che c'erano quelli più grandi».

E sceglie quello con la lama lunga circa 15 centimetri. Qui c'era l'idea di uccidere, ma forse non ancora proprio Daniele ed Eleonora, o almeno così sembra trasparire dalle poche frasi di Antonio. Mai usciti insieme, mai cenato assieme. Mai uno screzio per questioni di convivenza. Sembra che loro, in questa brutta storia, ci siano capitati quasi per caso: «Forse perché avevo fatto le chiavi, era un po' un accesso più semplice, diciamo così». Antonio riesce a spiegare bene solo queste sue numerose crisi di rabbia. E quando gli si fa notare che ha una famiglia, ottanta compagni di corso, che frequenta l'Università e che qualche delusione capita a tutti, lui ripete: «Lo so, ma nonostante tutto forse mi sentivo come vuoto, solo. E questo mi trasmetteva tristezza e rabbia».

Faccia a faccia con l'assassino. Il cappellano: "Stanco e pentito ma non sembra un mostro"


Quando fa la mappa delle telecamere, però, deve aver già scelto il suo bersaglio, perché punta dritto su via Montello. La mappa la fa dalla sua camera, servendosi di Google maps: «Se ti avvicini al muro con l'omino puoi vedere le telecamere». E infine gli appunti messi giù sui bigliettini, forse appena qualche ora prima del delitto. Non pronuncia mai la parola omicidio, Antonio. Parla sempre di «quello che ho fatto». E anche nel racconto di quegli otto minuti in cui ha massacrato Daniele ed Eleonora ricorda poco, racconta a monosillabi. Non sa spiegare. Ricorda cosa voleva scrivere sul muro? «Una parola. Forse una citazione della Bibbia». Antonio non sa, non ricorda. Voleva scrivere con il sangue, come in una scena di un thriller con Brad Pitt, Seven, gli suggerisce il giudice? Anche qui, non sembra ci fosse un piano preciso, quel film Antonio dice di non conoscerlo. Comunque il piano è saltato, perché dopo le coltellate «volevo solo scappare». Così Antonio va a casa, si fa la doccia, vomita. L'indomani rimane a letto, un po' intontito. E da mercoledì riprende la sua vita in ospedale come se nulla fosse stato. Pensava che lo avrebbero preso subito, Antonio. Sapeva di aver commesso molti errori, lasciato tante tracce. «Sì, pensavo anche la sera stessa. Non credevo che l'avrei fatta franca», e gli era passato per le mente anche di costituirsi. Però poi non lo ha fatto. Lo hanno seguito e poi fermato i carabinieri, una settimana esatta dopo il delitto, quando aveva appena terminato una giornata di lavoro al Fazzi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA