Addio al Parco dei Paduli la xylella cancella la storia

Addio al Parco dei Paduli la xylella cancella la storia
di Stefano MARTELLA
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Domenica 25 Novembre 2018, 13:52 - Ultimo aggiornamento: 15:00
Il pick-up avanza lentamente nelle stradine sterrate che si diramano nel bosco come vene. Lo scenario ricorda pellicole post-belliche. Distese di enormi alberi secchi. Il parco dei Paduli non esiste più. Non un luogo qualsiasi. Il grande polmone verde del Salento, il più grande bosco di uliveti della provincia di Lecce (5.500 ettari di ulivi secolari), è oggi un gigantesco cimitero di scheletri di legno. Lo scrigno della memoria collettiva, della tradizione contadina, sta scomparendo.
È una giornata di novembre e il parco, in questo periodo, brulicava di agricoltori. Oggi sembra un luogo sospeso. I canali di raccolta della pioggia che delimitano gli appezzamenti, la cui manutenzione è di competenza dei Consorzi di bonifica, sono intasati di canneti e cespugli. Il silenzio è rotto dal ritmico gracchiare delle gazze ladre. Ogni tanto, in lontananza, si sente il ronzio delle motoseghe. Le operazioni di taglio sono le uniche che proseguono. Perché di olio se ne produce ormai pochissimo. «Due anni fa facevo 4mila quintali, quest'anno ne ho fatti 200. Nei Paduli ho 40 ettari di uliveto ma ormai solo il 10% è produttivo. Le ho provate tutte per salvarli. Davanti a questo dramma ho pianto. Ho pensato a tutto quello che ho piantato, che ho costruito. Penso cosa resterà ai miei tre bambini», dice Giuseppe Agrosì, proprietario dell'omonima azienda olivicola, una delle prime della zona a produzione biologica. In tre appezzamenti diversi della sua proprietà le analisi sono risultate positive alla xylella fastidiosa. «Ci sono giorni in cui ho coraggio da vendere, ma altri in cui me ne vado dalla campagna, mi manca il respiro. Con mia moglie stiamo pensando di vendere tutto e andarcene proprio dal Salento. Non è solo una questione economica, qui c'è in ballo l'ambiente, la salute. Quando da Bruxelles ci dicevano di non piantare ulivi, noi dovevamo impuntarci almeno per poter piantare altri alberi. Stiamo perdendo la nostra foresta. Il Salento va ripensato paesaggisticamente».
Il pick-up dondola sui sentieri pietrosi, dal finestrino continuano a scorrere le immagini del paesaggio. Sulla destra si staglia imponente e rigogliosa di pini e querce la serra di San Eleuterio, il confine naturale dei Paduli verso Supersano. Ai piedi della serra un grande campo con centinaia di ulivi appena capitozzati. Sul terreno i rami secchi. Un contrasto che stordisce. Come uno sfregio su un volto etereo. «Questo è il Signor Ulivo continua Agrosì indicando un grande albero, con le radici fuoriuscite dal terreno che formano dei gradini così lo chiama mio figlio piccolo. Ci giocava, lo abbracciava come fosse umano. Ogni volta che passavamo da qua voleva venire a salutarlo. Quest'albero non ce la faccio a tagliarlo, non ce la faccio proprio», afferma con la voce rotta dal pianto. «Mesi fa, quando è tornato qui e ha visto il campo, ha detto una parola che non dimentico, non so come gli è uscita: tragedia, ha detto. È una tragedia. Può un bambino di 5 anni conoscere il significato di questo termine?».
La corsa del pick-up termina davanti al frantoio di Giuseppe Agrosì. I passi rintoccano nel silenzio del capannone. Da un lato alcuni macchinari accatastati. Sono lì, fermi, in attesa di essere venduti. «Stiamo vendendo tutte le macchine, prima che diventino ferri vecchi. Lo stiamo facendo in tanti. Macchinari nuovi, acquistati da poco col Psr, andranno venduti. Parliamo di strumenti di 25mila euro più Iva. Non servono più, li teniamo fermi. Ci stanno comprando tutto dalla Calabria, dalla Grecia, dalla Tunisia. Il Salento ormai è tagliato fuori». Lo scuotitore, la raccoglitrice, il cernitore, il defogliatore. È lunga la lista dei macchinari che Agrosì è costretto a vendere. O meglio, a svendere. «Era necessario dare molto prima la possibilità di reimpiantare ai piccoli produttori, solo così le cooperative potevano salvarsi. Adesso è troppo tardi. Le strutture cooperativistiche sono saltate. Stanno chiudendo. Non ce la fanno più a reggere i costi fissi, hanno mutui da pagare. E devono svendere. Il valore immobiliare dei capannoni è crollato. Ci sono cooperative con capannoni e terreno dal valore di 800mila euro. È tanto se riescono a vendere a 300mila euro».
Il parco dei Paduli è così vasto da coinvolgere i territori di sette paesi: Botrugno, San Cassiano, Nociglia, Surano, Supersano, Sanarica e Giuggianello. Durante il giorno, fino agli anni '60, i paesi si svuotavano e i Paduli si riempivano. Il parco brulicava. Ricordava la contea del Signore degli anelli, l'opera letteraria di Tolkien, con i suoi rilievi verdi, le grandi querce, gli ulivi monumentali, gli agricoltori che si muovevano laboriosi come formiche, le casette come rifugi. Le donne andavano a raccogliere le olive, gli uomini a caricare i sacchi. Gli sguardi si incrociavano veloci. Molti matrimoni sono nati così nel sud Salento: da incontri nei Paduli. Da sempre simbolo di fertilità. Per secoli fonte di sussistenza. Fino all'Ottocento si chiamava Bosco Belvedere, fitto di enormi querce. Dimoravano lupi e cinghiali. «Belvedere era utile per oltre venti paesi, alimentava un gran numero di cacciatori di giornata, che armati di fucile o coltellaccio, talvolta di corno o di mannaia, ritornavano nelle loro case, a sera inoltrata, carichi di cacciagione che vendevano sul luogo o spedivano nelle principali piazze», scriveva nell'Ottocento Cosimo De Giorgi, scienziato e viaggiatore leccese. Poi divenne il maestoso uliveto. Recentemente, con il lavoro delle associazioni Lua e Abitare i Paduli, è stato ripensato come luogo di turismo sostenibile e parco agricolo multifunzionale. Centinaia di turisti hanno dormito ai piedi degli ulivi, in grandi nidi intrecciati di ramaglie. Nel 2015 il parco è stato il candidato italiano al Premio del Paesaggio del Consiglio d'Europa. «Adesso dobbiamo ripensare tutto», dicono Simona De Mitri e Giorgio Ruggeri, dell'associazione Abitare i Paduli. «Le escursioni le facciamo nel deserto - prosegue Ruggeri - avevamo un progetto di agricoltura sostenibile, per dare sussistenza ai piccoli olivicoltori. Ragionavamo su una produzione di qualità, che abbandonasse la produzione di olio lampante per una produzione di extra vergine con un alto valore di mercato. Pensavamo a un marchio dei Paduli, che raccontasse la filiera, l'economia rurale, la storia del luogo».
Circa il 70% degli ulivi del parco ha contratto il disseccamento. Per comprendere la portata del problema, c'è un altro dato fornito dalle associazioni: nei Paduli su 11 chilometri quadrati ci sono circa 5 milioni di ulivi. Così si innesca un effetto domino. Al problema agricolo e paesaggistico si aggiunge quello ambientale: la massa secca non è più in grado di catturare anidride carbonica e polveri sottili. «Prima c'era rassegnazione, adesso è arrivata la stagnazione. Una fase di disinteresse, causata anche da una mancanza di strategia che dura ormai da anni», afferma Mauro Lazzari, architetto dell'associazione Lua. Ma tra i ragazzi non c'è voglia di piangersi addosso. Anzi, c'è desiderio di progettare, di programmare il futuro di questa terra. «Il Bosco Belvedere, fitto di querce, si è trasformato nel Parco dei Paduli, pieno di ulivi. Il paesaggio non è qualcosa di immobile - continua Lazzari - cambia a seconda dei periodi imposti dall'uomo o, come in questo caso, da una fitopatia. Abbiamo riconosciuto nell'ulivo il simbolo dell'identità salentina ma anche l'identità non è un fatto immutabile nel tempo. Si modifica con i cambiamenti sociali, economici. E non abbiamo il coraggio di dire che il paesaggio può cambiare, si può evolvere. La monocultura è stato un errore. Non può essere tutto ulivo e non ci si può affidare solo a due cultivar, come successo in passato. Come accade anche negli investimenti economici, la prima regola è diversificare. Lo stesso principio vale per l'agricoltura. La xyella deve diventare un'occasione per ripensare il territorio in maniera resiliente e non rifare gli errori del passato». Sulla strada del ritorno, al tramonto, le sagome nere dei tronchi sembrano un esercito di guardiani. È l'alba che svela la verità. Il grande bosco del Salento non ha più difese.
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