Sangue infetto, sacche non "tracciate": risarcimento per un uomo di Cisterna

Sangue infetto, sacche non "tracciate": risarcimento per un uomo di Cisterna
di Giovanni Del Giaccio
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Lunedì 29 Aprile 2019, 19:40
Tre trasfusioni su dieci  "non sono risultate controllate e tracciabili". Il Tribunale di Roma ha condannato il Ministero della Salute a risarcire con 700.000 euro  i familiari di un uomo di Cisterna morto nel 2018 a seguito di un'infezione da epatite C.  L'uomo aveva iniziato la causa nel 2015, quando aveva scoperto di avere la malattia per le trasfusioni avvenute nel 1983 al "San Camillo" di Roma. Allora aveva 44 anni, ma solo 30 dopo scoprì il contagio poiché il virus   dell'epatite C è "silente" e si manifesta anche dopo molto tempo. 

«L'ipotesi non remota - dice l'avvocato Renato Mattarelli che ha seguito la vicenda -  è che il sangue trasfuso è stato importato negli anni '80 da paesi del terzo mondo».

L'epatite C per la vittima si è trasformata prima in cirrosi epatica e poi in tumore  che nel 2018 ha ucciso l'uomo arrivato a 79 anni nonostante non avesse più il fegato, danneggiato irreparabilmente dal virus che, per almeno 30 anni, ha continuato indisturbato a distruggere la sua salute.

«A questo primo risarcimento   per i danni patiti in vita dall'uomo, ma di cui beneficeranno solo gli eredi - aggiunge Mattarelli - seguirà una nuova causa da parte dei prossimi congiunti per l'uccisione del loro parente».

La morte per trasfusioni di sangue infetto   è  l'ennesima che ha origini lontanissime che vanno dalla metà degli anni '60 alla metà degli anni '90 quando il sangue per uso trasfusionale non era controllato e in molti casi comprato da paesi esteri dove notoriamente circolavano fra i donatori virus letali.

Va anche sottolineato che da oltre un decennio, ormai, non si registrano più infezioni correlate alle trasfusioni in Italia  
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