Coronavirus, la dirigente di Malattie infettive al Goretti: «Il farmaco anti artrite funziona, ecco i nostri risultati»

Miriam Lichtner, dirigente delle malattie infettive
Miriam Lichtner, dirigente delle malattie infettive
di Giovanni Del Giaccio
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Martedì 17 Marzo 2020, 20:20 - Ultimo aggiornamento: 18 Marzo, 10:17

 Il farmaco che funziona, le prospettive, l’appello ai cittadini, i rischi che si corrono adesso. Miriam Lichtner, docente alla “Sapienza” e dirigente delle malattie infettive al “Goretti”, guida una squadra che in questi giorni stanno dando il massimo e anche di più per l'epidemia di coronavirus. Nel reparto e nel resto dell’ospedale, così come nell’azienda sanitaria. 

Avete iniziato a sperimentare il farmaco sull’artrite, cosa può dire di più?
«Non è una sperimentazione, abbiamo deciso di trattate 16 pazienti sulla base di indicazioni a livello nazionale e linee guida della Società italiana di malattie infettive. Si tratta di un farmaco di norma utilizzato per altra patologia che usiamo ‘offlabel’, come si dice in gergo, per svolgere questo ruolo. È un importante antinfiammatorio usato con successo nell’artrite reumatoide anche dei bambini».

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I risultati, secondo la Asl, sono più che soddisfacenti...
«Sì, abbiamo iniziato i trattamenti tra sabato e domenica, appena abbiamo ricevuto il medicinale. Devo ringraziare la farmacia, Alessandra Mecozzi e il suo staff, l’uso è su pazienti che non sono in fase avanzata di malattia ma hanno scambi respiratori compromessi, quelli per i quali utilizziamo il casco per intenderci. Li abbiamo valutati a 24 e 48 ore e il miglioramento è stato evidente».

Qual è l’evoluzione?
«Dei casi seguiti sette sono notevolmente migliorati e per un paio, se continua così, contiamo di togliere il casco nei prossimi giorni».

Qual è il criterio per somministrare o meno la terapia?
«Confrontandoci con i colleghi, anche in altre realtà d’Italia, ci siamo assestati su criteri di inclusione condividi. Deve esserci un quadro grave di insufficienza respiratoria e il farmaco occorre a evitare che si arrivi all’intubazione».
 


Come è cambiata la giornata tipo?
«Non esiste più una giornata normale, è come fossimo in un film, di quelli americani che vediamo dicendo che vivere due ore a quei livelli è impossibile, qui ormai è a ciclo continuo. La cosa che colpisce è che i malati presentano tutti lo stesso quadro, ti fa capire che cos’è una malattia infettiva che si diffonde in questa maniera e che determina nei pazienti che hanno polmonite un complesso quadro patognomonico che si ripete e che cerchi di affrontare. Alcuni hanno la capacità di superare la fase critica, altri no, a oggi non sono noti i determinanti che poi portano da una parte alla guarigione o a un andamento infausto».

Come vi siete organizzati per gli altri malati che non seguono questa terapia?
«Non smetterò mai di ringraziare i colleghi, gli infermieri, tutto il personale. C’è l’aiuto dell’intero ospedale, un gruppo di lavoro vede i malati e decide le terapie. Lo schema è lo stesso per tutti, anche in questo ci sono le linee guida usate prima in Lombardia poi estese in tutta Italia. Si utilizza un antivirale usato anche per l’Hiv, un immunomodulante che blocca l’infiammazione e corticosteroidi. Si fa un lavoro di équipe anche con gli altri ospedali, in tutta la provincia».

 

 Cosa temete?
«Terrorizza l’eventuale carenza di presìdi, dai caschi respiratori ai dispositivi di protezione, fino ai farmaci».

E cosa sperate?
«Avere stabilità dei casi, sarebbe già una grandissima cosa».

Qual è il messaggio per i cittadini?
«Continuare a impegnarsi come stanno facendo in queste ore per cercare di limitare gli scambi tra persone. Penso anche ai malati che seguiamo e ora stanno evitando di venire in ospedale, dei quali dovremo tornare a prenderci cura».
 


L'intervista completa sull'edizione cartacea o sul Messaggero digital
 

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