Uccise il compagno piantandogli una lama nel petto. Ma era legittima difesa. E oggi Silvia Rossetto, 51 anni, incassa la seconda assoluzione. La sentenza della Corte d'assise d'appello di Torino è la replica di quella pronunciata nel 2020 dal gup del tribunale. Silvia era stata spintonata, afferrata per il collo. Aveva un coltello puntato alla gola. E lei, in preda al terrore, ne aveva preso un altro, rovistando a casaccio nello stesso cassetto della cucina che il suo aggressore, nella foga, aveva lasciato aperto dopo essersi servito. La pubblica accusa ha insistito sull'«eccesso colposo» di legittima difesa. I giudici hanno detto di no. «Mi aspettavo la conferma dell'assoluzione - è il commento dell'avvocato difensore, Sergio Bersano - anche perché la sentenza di primo grado del gup Stefano Vitelli era stata ampia ed estesamente argomentata». Il rapporto tra Silvia e il convivente, Giuseppe Marcon, non era mai stato dei più sereni.
Entrambi soffrivano per disturbi di natura psicologica che, secondo un conoscente, «lei ammetteva di avere e lui non accettava».
Alle 18:27 la mamma di Silvia telefonò e sentì lui inveire e lei gridare «aiuto». Quando la comunicazione si interruppe, chiamò i carabinieri. Il racconto dell'imputata - che è rimasta in carcere fino alla prima assoluzione - non è mai stato perfettamente lucido e coerente. C'erano dettagli che non combaciavano. Ed è per questo che la procura, pur accettando la linea della legittima difesa, aveva fatto ricorso in appello per eccesso colposo. «Ma non è immaginabile - ha replicato l'avvocato Bersano - che Rossetto, già malata e per giunta in preda a 'un'ansia distruentè perché picchiata e minacciata con un coltello da un uomo ubriaco che le aveva già usato violenza in passato, potesse valutare che forse il compagno non avrebbe affondato la lama». Anche in appello ha ottenuto ragione.