La 'ndrangheta alla conquista di Roma. Sgominata la cosca dei due boss: «Siamo una carovana pronta a fare la guerra»

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di Emilio Orlando
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Mercoledì 11 Maggio 2022, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 09:40

“Dietro di me c’è una nave, siamo una carovana per fare la guerra”. 
Venivano intimidite così aziende, istituzioni e vittime che non volevano piegarsi ai diktat della ‘ndrangheta. La paura di denunciare e di pronunciare soltanto i nomi dei capi clan, Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo, erano gli stati d’animo più frequenti nelle vittime. Le mani delle ‘ndrine su Roma: anzi della prima ‘ndrina locale completamente autonoma e “autorizzata” dalla casa madre perfino a scegliersi gli associati tra la criminalità operativa sul territorio.


L’incubo è finito ieri mattina all’alba, quando i detective della direzione investigativa antimafia coordinati dalla procura antimafia capitolina hanno messo in carcere 43 persone accusate di associazione mafiosa, narcotraffico, commercio di armi, riciclaggio e intestazione fittizia dei beni. Le indagini sono state coordinate dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò con i sostituti Francesco Minisci e Giovanni Musarò. 


FASCIANI, CASAMONICA E SPADA Il boss ndranghetista ma romano di adozione, Vincenzo Alvaro, era di fatto il trait d'union con la criminalità romana. Specie con le famiglie Fasciani, Spada e Casamonica, a cui spettava anche il compito di garantire tra tutte le mafie romane autoctone una “pax” ed un rapporto di mutua assistenza. “A lui - scrivono gli investigatori - spettavano i ruoli di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni delittuose da compiere, degli obiettivi da perseguire e delle vittime da colpire”.

I clan dei Fasciani, degli Spada e dei Casamonica erano il braccio armato di cui servirsi per riscuotere crediti delle attività commerciali intestate a prestanome e per ottenere guadagni illeciti nel settore ittico, in quello del ritiro delle pelli e degli olii esausti. 


MINACCE In alcune intercettazioni telefoniche tra i boss e un medico calabrese che vive a Roma, emerge anche un piano criminoso per minacciare il giornalista Klaus Davi che aveva proposto al Campidoglio di affiggere sotto la metropolitana alcuni volantini dove erano riportate le foto e i nomi dei boss calabresi trapiantati nella Capitale. 


PIZZO NEGLI APPALTI “Una fetta di pane si deve dividere con noi, con quello dell’impianto del gas qua a Roma, quello del metano…sono quelli che passano la fibra ottica… ora quelli che passano la fibra ottica qua a Roma, il dirigente...”. La conversazione, annotata dagli investigatori, tra due interlocutori, uno dei quali è un reggente del clan Alvaro, viene spiegato come la ‘ndrangheta era pronta a mettere le man sulla costruzione di un nuovo gasdotto di metano che doveva servire la Capitale.

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