Massimo Reale: «Da Schiavone a Hitchcock, felice della popolarità, ma il teatro è amore»

Massimo Reale, patologo della serie tv Rocco Schiavone, a teatro con un testo di Hitchcock
Massimo Reale, patologo della serie tv Rocco Schiavone, a teatro con un testo di Hitchcock
di ​Paolo Travisi
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Venerdì 13 Dicembre 2019, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 08:23
Dal teatro al cinema e ritorno. Il capolavoro di Alfred Hitchcock, Delitto Perfetto in scena al teatro Ciak di Roma (fino al 6 gennaio) con protagonista Massimo Reale - medico legale della serie Rocco Schiavone - nel ruolo di un marito avido sposato a una donna ricca, che intende uccidere per gelosia, tentando un delitto perfetto.

Un thriller che si muove su emozioni crudeli. 
«È un testo che racconta la borghesia inglese degli anni ‘50, che oltre le apparenze è mossa da sentimenti inconfessabili, ricerca di denaro, sfruttamento dell’altro, sottomissione della donna. Oggi lo racconteremo come un femminicidio».

Uno dei film migliori di Hitchcock, che viene dal teatro?
«Un dramma scritto da Frederick Knott che Hitchcock adattò, rispettando l’originale. È un crescendo di tensione, un gioco emotivo in cui si vede pian piano frantumarsi il piano criminale del protagonista».

La sua carriera è fatta di molte esperienze. Partecipò alla serie cult, I ragazzi della 3°C. Che ricordo ha?
«Iniziai come comparsa, facevo l’accademia e avevo bisogno di lavorare. Dopo la seconda stagione ebbi un ruolo più grande, poi feci Classe di ferro, una gavetta pazzesca e grandi amicizie. Con Giampiero Ingrassia, Fabio Ferrari, Rocco Papaleo è stato come essere al liceo».

Ha lavorato con grandi nomi da Manfredi a Banfi. Ricordi?
«Banfi mi disse che quando si iscrisse al collocamento, non c’era la voce “attore comico” e scrissero saltimbanco. Conobbi Corbucci che scrisse per Totò. Di fronte a loro stavo ad ascoltare perché hanno vissuto un’epoca irripetibile».

Rocco Schiavone le ha dato grande popolarità. Cosa aggiunge questo elemento ad un attore?
«Serve nel mercato degli attori per avere ruoli più grandi, ma sono felice se le persone sono contente di quello che faccio, perché la stima del pubblico aiuta».

Quindi si può fare l’attore senza essere per forza in prima linea?
«Se uno pensa al successo non ha capito il mestiere. Può capitare, sparire, ritornare, il successo non è un elemento per misurare la qualità del lavoro. Ho fatto il teatro greco a Siracusa, ma sicuramente la gente non si strappava i capelli. Si può essere realizzati senza essere popolari, si fa l’attore per amore».
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