Daniel Fusinato, il bimbo ucciso assieme al fratellino di 5 anni nella tragica sparatoria ad Ardea, era, come molti suoi compagni, un grande appassionato di calcio. Correva sul campo con la spensieratezza di chi sa di avere danvanti a sé un futuro sconfinato, fatto di risate, di complicità, di abbracci, di colori, di spensieratezza.
A quell'età, a 10 anni, si ha il sacrosanto diritto d'essere scanzonati, di sognare di diventare, perché no, un grande portiere di Serie A, di approdare, un giorno - un giorno che per i bimbi non è mai troppo lontano né tantomento irraggiugnibile - nella propria squadra del cuore.
Tutti gli riconoscevano un gran talento, sia i suoi compagni sia i suoi allenatori, tanto da essere in procinto di andare ad allenarsi con i giovanissimi della Lazio. Daniel era a un passo dal realizzare il suo sogno. Sarebbe potuto diventare, chi può dirlo, il Donnarumma del futuro, suo idolo.
Ma a prescindere da come la sua passione si fosse potuta concretizzare, Daniel sarebbe potuto diventare un uomo, crescere, sperimantare la fatica e il fascino della vita, innamorarsi, perdersi, ritrovarsi. A Daniel, come al fratellino David, questo diritto è stato strappato con violenza, negato dalla furia omicida di Andrea Pignani, un uomo di 35 anni con problemi psichici, che poco prima delle 11 di questa mattina è uscito armato dalla sua villa ad Ardea, in via degli Astri, e ha esploso dei colpi contro i passanti, colpendo anche i due bimbi. Daniel e David, quando sono stati raggiunti dai proiettili, stavano giocando in strada.