Roma, da Guido Reni a Bill Viola, da Giusy Lauriola allo "scarabocchio": le nuove mostre da vedere nel weekend

La mostra su Guido Reni alla Galleria Borghese
La mostra su Guido Reni alla Galleria Borghese
di Valeria Arnaldi
7 Minuti di Lettura
Venerdì 4 Marzo 2022, 22:05

I capolavori eseguiti a Roma da Guido Reni, ma anche gli "scarabocchi" di Leonardo, Michelangelo, Picasso e molti altri maestri, la videoarte di Bill Viola e le “nuvole” di Lauriola, sono molte le nuove mostre, appena inaugurate a Roma, da vedere nel fine settimana.

“Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura” a Galleria Borghese

Ippomene lascia cadere i pomi d’oro e avanza. Atalanta, incantata, li raccoglie, rallentando così la sua corsa. É un inganno ad essere immortalato nella monumentale tela di Guido Reni, dedicata al mito di Atalanta e ora esposta nella grande mostra “Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura”, a cura di Francesca Cappelletti, che riunisce oltre trenta opere alla Galleria Borghese fino al 22 maggio. Il momento ritratto è quello di massima tensione drammatica. Atalanta, principessa dell’Arcadia che, non volendo sposarsi, ha promesso che si unirà in matrimonio solo a chi la vincerà in velocità, modera il passo, fin quasi a fermarsi per raccogliere i pomi che la dea dell’Amore ha dato a Ippomene, assicurandogli così la vittoria. Ciò che l’epoca vuole – e il Cielo, qui, impone – ossia la donna moglie e madre, supera la volontà femminile e la ostacola, con ogni mezzo. E così, nella violenza del concetto e nella tensione di muscoli e pathos, l’opera dialoga con il marmo de "Il ratto di Proserpina", capolavoro di Bernini nella collezione permanente della Galleria,  che nella passione del Dio vede la condanna della giovane. L’iter espositivo, infatti, “colloquia” con opere e spazio a suggerire nuove chiavi di lettura sia sui lavori, sia sull’idea stessa di museo. E, in parte, anche su Roma, che si fa occasione e spunto della narrazione su Reni, giunto in città a ventisei anni.

Così "David con la testa di Golia", opera di Guido Reni e aiuti, è posto in relazione con la scultura che Bernini dedicò a David. E la calma del trionfo del giovane a figura intera nudo, con pelliccia turchina sulla spalla e berretto con piuma sulla testa si confronta con quello berniniano, ritratto nell’emozione e nello slancio della lotta. E La Strage degli Innocenti è messa in relazione con "Apollo e Dafne", altro capolavoro di Bernini, in una più ampia riflessione sulla violenza.

Cuore dell’iter è il paesaggio, in una riflessione che ha il suo punto focale nella "Danza campestre" di Reni, appartenente alla collezione del cardinale Scipione Borghese e da un anno rientrata nella collezione del museo. Si indaga il rapporto tra Reni e la pittura di paesaggio, appunto, fino ad oggi ritenuta “estranea” alla sua produzione, rapportata ai lavori di altri artisti operanti a Roma nel primo Seicento, primo periodo del soggiorno romano dell’artista, dal "Paesaggio con la caccia al cervo" di Niccolò dell’Abate alla "Festa campestre" di Agostino Carracci, da più lavori di Paul Bril ai paesaggi con storie mitologiche di Carlo Saraceni. Di opera in opera, a catturare lo sguardo sono lo studio dell’Antico messo in atto da Reni, ma anche lo stordimento rispetto alla pittura di Caravaggio, e l’attrazione per una tridimensionalità di figura di matrice scultorea che lo porta a spingere ancora oltre sguardo e “visione”.

A Villa Medici, “Gribouillage / Scarabocchio. Da Leonardo da Vinci a Cy Twombly”

É nel gesto che corre, ora più veloce, ora disteso, ad allentare tensioni e liberare i pensieri, ma forse anche a “provare” forme e motivi grafici, lasciando correre la fantasia, il potere dello “scarabocchio”, ora celebrato, in un viaggio attraverso i secoli nella mostra “Gribouillage / Scarabocchio. Da Leonardo da Vinci a Cy Twombly”, a cura di Alberti di Villa Medici e Diane Bodart della Columbia University, con Philippe-Alain Michaud, curatore associato, del Centre Pompidou, appena inaugurata a Villa Medici, dove sarà visitabile fino al 22 maggio.

Il progetto è articolato in due presentazioni successive, inedite e complementari, che a quella di Roma, poi, dal 19 ottobre, ne farà seguire un’altra, ai Beaux-Arts di Parigi, per un totale di circa 300 opere originali, dal Rinascimento ad oggi. Attenzione, non opere tradizionalmente intese, ma appunti schizzi, segni grafici,apparentemente “distratti”, ma anche visi o dettagli, figure accennate, prove. Tutti “lavori” eseguiti da grandi maestri della storia dell’arte, tra passatempo o vero e proprio esercizio. Michelangelo si divertiva a sperimentarsi, imitando i fantocci disegnati sulle facciate dei palazzi fiorentini. Picasso invece considerava un traguardo, frutto dell’esperienza, riuscire a ritrovare il segno spontaneo dei disegni infantili.

Nel percorso, gli accostamenti sono inusitati, scavalcano epoche e visioni, per guardare alla riscoperta del gesto “primitivo”, come atto connaturato all’uomo, espressione, dunque, senza tempo. Ecco allora le figure accennate sul verso dei pannelli laterali del trittico della "Madonna con Bambino e Santi", opera di Vincenzo Bellini.

Ed ecco anche “scarabocchi” di Leonardo da Vinci, Michelangelo, Pontormo, Tiziano, Bernini, nonché di Picasso, Dubuffet, Henri Michaux, Helen Levitt, Cy Twombly, Basquiat, Luigi Pericle, in un iter che vede il “segno” lasciato originariamente a margine farsi progressivamente protagonista, a liberare l’inconscio, il desiderio, la fantasia, ribadendo un differente approccio all’arte e alla vita, svincolato da canoni e confini.

“Bill Viola. Icons of Light” a Palazzo Bonaparte

É un vagare nel buio alla ricerca della “luce” di pensieri, emozioni, sensazioni, gesti ad essere proposto nella mostra “Bill Viola. Icons of Light”, dal 5 marzo al 26 giugno a Palazzo Bonaparte. Sono quindici lavori a ripercorrere la produzione di Viola, il più grande artista vivente di videoarte, dagli anni Settanta ad oggi, in un itinerario studiato nei dettagli e curato dalla moglie Kira Perov. Si va così da “The Reflecting Pool”, opera del 1977-1979, che si fa metafora della nascita e della creazione, fino a “Martyrs”, del 2014, serie che chiude l’itinerario. Nel mezzo, il monumentale “Ascension”, del 2000, che si fa immersione in un mondo altro, rimandando all’inconscio e alla sfera più intima dell’uomo. E ancora, “Observance”, del 2002, meditazione della perdita e del dolore, e i “Water Portraits” del 2013, dove l’acqua diventa elemento “naturale” per l’uomo. Nel percorso, anche “The Greeting”, del 1995, ispirato alla cinquecentesca Visitazione del Pontormo, dove un incontro di 45 secondi viene sviluppato a creare una sequenza di oltre dieci minuti.

«Il tempo è malleabile nelle mani di Bill Viola, dove ogni dettaglio del movimento e dell'espressione del viso e del corpo è visibile, dove un momento diventa eternità», come scrive Kira Perov nella prefazione al catalogo.

Ad essere indagati sono la ricerca spirituale, tra religione buddista e cristiana, filosofia occidentale e orientale, il dialogo con la natura e con emozioni, passioni, sensazioni. Così, ad essere rappresentata, nelle sue diverse forme ed espressioni, è la vita.

“Giusy Lauriola Prendiamo il sentiero paludoso per arrivare alle nuvole” ai musei di San Salvatore in Lauro

C’è anche la guerra ucraina tra gli spunti di riflessione delle opere riunite nella mostra “Giusy Lauriola. Prendiamo il sentiero paludoso per arrivare alle nuvole”, personale organizzata da “Il Cigno GG Edizioni” e curata da Federica Di Stefano, ospitata fino al 31 marzo nella Galleria Umberto Mastroianni, nei Musei di San Salvatore in Lauro. «Gli ultimi tragici avvenimenti dell’invasione russa in Ucraina – racconta l’artista - hanno reso impellente modificare una delle mie opere presenti in mostra, in cui il rosso era protagonista, per esprimere il mio disarmante punto di vista su questa guerra in cui la gente comune, impotente, sarà sacrificata ancora una volta. L’ho intitolata “Immersi in un rosso torpore”. Già nel passato nel 2004 ho affrontato con il progetto “Cambialamore” che si ispirava all’attacco Usa in Iraq e poi in Afghanistan dopo l’attacco alle Torri Gemelle a New York  l’11 settembre del 2001».

Nel percorso espositivo, 17 opere realizzate in smalto, acrilico, bitume e resina su tela, e due installazioni in tessuto resinato. Nuove forme dai confini indefiniti, proprio come le nuvole. «L’opera di Giusy – commenta Federica Di Stefano - si muove in uno spazio a-temporale e indefinito che pone l’uomo, che ha voglia di guardarsi dentro, davanti al proprio passato, al proprio presente e perché no, al proprio possibile futuro, svolgendo così perfettamente uno dei compiti precipui dell’arte contemporanea».

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