Clan Casamonica, blitz a Roma e 6 arresti. Le minacce al telefono: «Te dobbiamo venì a casa?»

Clan Casamonica, blitz a Roma e 6 arresti. Le minacce al telefono: «Te dobbiamo venì a casa?»
Clan Casamonica, blitz a Roma e 6 arresti. Le minacce al telefono: «Te dobbiamo venì a casa?»
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Martedì 27 Ottobre 2020, 12:53

Sei appartenenti al clan Casamonica/Di Silvio sono finiti oggi in manette in un'operazione coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Roma. Agenti del Servizio Centrale Operativo, della Squadra Mobile della Capitale e del commissariato Romanina stanno eseguendo un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip capitolino nei confronti dei sei, ritenuti responsabili a vario titolo di estorsione aggravata dal metodo mafioso, usura, esercizio abusivo dell'attività finanziaria e spaccio di sostanze stupefacenti.

Secondo quanto si è appreso, uno degli arrestati fu coinvolto nell'aggressione avvenuta nel 2018 al Roxy bar, alla periferia della Capitale. Le accuse sono estorsione aggravata dal metodo mafioso, usura, esercizio abusivo dell'attività finanziaria e spaccio di sostanze stupefacenti. «Grazie a Polizia e Dda per blitz che ha portato ad arresto di sei persone del clan Casamonica. Sono accusati di estorsione aggravata da metodo mafioso, usura, spaccio. Un arrestato coinvolto anche in raid al Roxy bar. A Roma non c'è spazio per criminalità», ha commentato su Twitter la sindaca Virginia Raggi.

LE INTERCETTAZIONI. "DOBBIAMO VENI' A CASA TUA?" Subito dopo gli arresti scattati per i fatti del Roxy Bar, Ivana Casamonica aveva preteso da un loro abituale «cliente» somme di denaro per sostenere le spese legali dei figli detenuti. Inoltre, a causa del mancato pagamento dei debiti maturati per l'acquisto dello stupefacente, la vittima è stata esplicitamente minacciata attraverso un messaggio lasciato sulla segreteria telefonica da Alfredo Di Silvio: «…che cazzo ti sei messo in testa aoooò…ma che ti dobbiamo veni a casa? Te dobbiamo venì a bussà a casa tua? Ao! Se domani mattina non vieni qua…te veniamo a casa…mò hai rotto il cazzo eh!». Ivana inoltre lo ha intimidito con modalità tipicamente mafiose: «fa come vuoi…guarda tanto lo so dove stai a me non me interessa, a me non me interessa poi quello che succede … lo sai che te volemo bene, lo sai, lo sai bene».

Per l'aggressione al Roxy Bar la Cassazione ha confermato la condanna a sei anni di carcere per Antonio Casamonica e lo scorso luglio i giudici di Piazza Cavour hanno confermato le condanne per gli altri imputati, Alfredo Di Silvio a 4 anni e 10 mesi e per il nonno Enrico 3 anni e 2 mesi e a 4 anni e 8 mesi per Vincenzo Di Silvio. In carcere adesso sono finiti il nonno Enrico, i genitori di Vincenzo e Alfredo, Ivana Casamonica e Anacleto Di Silvio, oltre a Alevino Di Silvio, Silvio Di Vitale, Alfredo detto 'Augù' Di Silvio. Dopo le condanne per l'aggressione avvenuta ad aprile 2018, alla Romanina, periferia della Capitale, i Casamonica e i Di Silvio hanno continuato a compiere anche estorsioni per sostenere le spese legali dei familiari detenuti, è emerso dalle indagini. 

"CLIMA DI PAURA TRA I CITTADINI" «Emerge dunque con tutta evidenza il clima di paura in cui versa la popolazione del quartiere Romanina e la difficoltà da parte delle forze dell'ordine di avviare e portare a termine indagini che spesso non possono compiutamente svilupparsi dati i timori delle vittime di ritorsioni da parte dei componenti della famiglia», scrive il gip Clementina Forleo nell'ordinanza.

Fondamentali anche le parole di una vittima di usura, riportate nell'ordinanza. «Dall'ultima consegna di denaro, essendo ormai distrutto psicologicamente e moralmente, trovandomi in uno stato di soggezione tale da avere paura di camminare nel quartiere e di frequentare anche luoghi pubblici e i negozi tra le vie della borgata, ho deciso di non rispondere più alle chiamate di Ivana» (Casamonica, ndr.).

I fatti commessi dai Casamonica e dai Di Silvio, sottolinea il gip, sono «commessi in maniera non solo reiterata ma abituale ed anzi professionale», con «condotte intimidatrici»« e «intraneità degli indagati ad ambienti avvezzi al controllo del territorio con metodo mafioso».

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