Crisanti: «Lombardia, tamponi datati, la riapertura è prematura»

Crisanti: «Lombardia, tamponi datati, la riapertura è prematura»
Crisanti: «Lombardia, tamponi datati, la riapertura è prematura»
di Mauro Evangelisti
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Domenica 31 Maggio 2020, 00:41 - Ultimo aggiornamento: 20:37

«Diciamo che è stata una decisione precipitosa. Io avrei aspettato prima di fare ripartire i viaggi interregionali, in particolare dalla Lombardia dove ancora non c’è chiarezza sui dati». Il professor Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova e virologo, da giorni sta ripetendo che «non siamo usciti dall’epidemia, anche se i dati sono migliorati», frena le fughe in avanti («non riaprirei le discoteche»); ora ha dubbi sulla bontà della scelta del governo di concedere i viaggi interregionali senza distinzioni, anche in quelle zone che ogni giorno registrano 200-300 nuovi casi positivi.

Professore, anche gli ultimi dati confermano: tre quarti dei nuovi contagi in Italia vengono registrati nel Nord-Ovest. Ha senso aprire agli spostamenti come se la diffusione del virus nel Paese fosse la stessa ovunque?
«Partiamo da un presupposto: il rischio zero non esiste. Però...».

Se si escludono le regioni del Nord-Ovest, in Italia si registrano meno di cento casi.
«Un virologo le risponderebbe che anche un solo caso positivo è troppo perché potenzialmente può diffondere il contagio. Ma in questa vicenda il problema con cui abbiamo a che fare in Lombardia è un altro: non sappiamo a quando si riferiscano quei tamponi positivi che comunicano ogni giorno, quando sono stati materialmente fatti o richiesti. Da quello che risulta, si va anche parecchio indietro nel tempo. In questo modo è molto difficile azzardare delle valutazioni».

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Scusi, ma quei tamponi non sono recenti, come in qualsiasi altra regione?
«No, da quello che dicono, sono tamponi riferiti a infezioni avvenute anche parecchie settimane fa. In questo modo non è proprio possibile prendere una decisione che calcoli tutti i rischi, in modo corretto. Non sappiamo se in Lombardia vi sia l’effetto delle riaperture del 18 maggio, quanto abbia influito la fine del lockdown. Ma senza dati precisi, come si fa a decidere?».

Lei ormai è diviso tra Veneto e Regno Unito, ma è originario di Roma. Proprio in queste ore nella Capitale sono stati rilevati solo tre nuovi positivi, ma uno di loro era una donna di Milano che era venuta a Roma per lavoro. Non è proprio un buon segnale. È preoccupato per gli effetti che, sulla Capitale, potrebbe avere la riapertura ai viaggi tra regioni a partire dal 3 giugno?
«Quanto meno è stata una decisione precipitosa, che poteva essere valutata con più attenzione. Cosa ci sarebbe stato di male se si fossero aspettate una o due settimane in più, prima di dare il via libera ai viaggi dalla Lombardia?».

Cosa serve per prendere una decisione di questo tipo?
«Servono valutazioni serie, svolte sulla base di numeri veri, soppesati con attenzione. Si calcola un livello di rischio, ma si analizzano dati che sono ben conosciuti. Invece, come le dicevo, questi numeri affidabili non li abbiamo».

Se avesse fatto parte del Comitato tecnico scientifico cosa avrebbe suggerito al governo quando si è trattato di decidere se consentire gli spostamenti tra regioni a partire dal 3 giugno?
«Più che dare suggerimenti, avrei preteso due elementi prima di decidere. Il primo: sapere con certezza a quando fanno riferimento gli esiti dei tamponi comunicati ogni giorno dalla Lombardia, in altre parole a quando risale la trasmissione del virus. Il secondo: quanti sono coloro che, sempre in Lombardia, sono isolati in casa, senza che venga loro fatto il tampone?».
 

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