In fuga l’ex Nar di Fiumicino che uccise un poliziotto: due giorni fa è stato condannato all'ergastolo

In fuga l’ex Nar di Fiumicino che uccise un poliziotto: due giorni fa è stato condannato all'ergastolo
di Giuseppe Scarpa
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Venerdì 11 Febbraio 2022, 09:01 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 04:41

Da mercoledì c’è un vecchio Nar di 60 anni in fuga. Latitante. È Fabrizio Dante. Ieri è scappato dopo la condanna all’ergastolo, confermata dalla Cassazione, per aver ucciso un poliziotto a metà degli anni Ottanta. L’uomo è svanito nel nulla. Quando le forze dell’ordine sono andate a bussare a casa dell’ex estremista di destra, a Passoscuro, frazione di Fiumicino, lui non c’era più. Aveva appena ricevuto la notizia della sentenza definitiva che lo condannava a trascorrere il resto della vita in carcere. 


Di fronte a un simile scenario ha scelto di sottrarsi alla giustizia.

Un verdetto che lo inchioda come il responsabile dell’agguato in cui, nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio del 1985, morì l’agente scelto della polizia stradale Giovanni Di Leonardo e rimase ferito il suo collega Pierluigi Turrigiani. Un agguato di stampo terroristico. Le accuse, dopo un’indagine meticolosa coordinata dal pm Erminio Amelio, sono di omicidio volontario aggravati dalla premeditazione e dai futili motivi e con finalità di terrorismo. 


L’OMICIDIO
Quella notte di 37 anni fa, Di Leonardo e Turrigiani erano in sevizio sull’autostrada Roma-L’Aquila quando, a poca distanza dal casello di Castel Madama, due persone ferme sulla corsia d’emergenza accanto a un’auto con il cofano aperto e i fari accesi fecero di tutto per attirare la loro attenzione e gli chiesero di fermarsi.
Gli agenti rallentarono e accostarono ma all’improvviso sbucarono da dietro una siepe altri uomini. Erano armati. E quando Di Leonardo tentò di reagire impugnando la sua pistola, venne raggiunto da un colpo al torace. Poi, lui e Turrigiani furono immobilizzati con le loro stesse manette e gettati in un canale. Solo dopo qualche minuto Turrigiani riuscì a risalire la scarpata e a chiedere aiuto. Gli autori dell’agguato, rivendicato poi dal Nar, a quel punto erano però già spariti: secondo l’accusa volevano impossessarsi delle armi di ordinanza dei due agenti. Di Leonardo morì poco dopo in ospedale.


Su quell’agguato, le ombre si diradarono solo anni dopo, quando grazie alle moderne tecnologie divenne possibile la comparazione di due impronte digitali, una ritrovata sull’auto della polizia il giorno della morte di Di Leonardo e una seconda risalente al 1989, prelevata in occasione di un arresto. «La sentenza si rispetta - spiega il legale dell’uomo, il penalista Massimo Biffa - ma riguarda episodi avvenuti più di 35 anni fa, prendendo impronte digitali tutte diverse e tra queste c’era quella di Dante. Il processo si è fondato solo su questo aspetto. Lui si è sempre difeso dicendo di essere innocente». Adesso la Cassazione ha chiuso il discorso. Lui è scappato aggravando così una situazione già disastrosa.

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