Morì per un'infezione al pace-maker, condannato l'ospedale: "Ritardo nella diagnosi"

Morì per un'infezione al pace-maker, condannato l'ospedale: "Ritardo nella diagnosi"
Morì per un'infezione al pace-maker, condannato l'ospedale: "Ritardo nella diagnosi"
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Giovedì 28 Settembre 2017, 18:24
Un calvario lungo 16 mesi senza che qualcuno si avvedesse di quell'infezione che lo aggredì già nel 2009 dopo aver subìto un'operazione per la sostituzione di un pace-maker. Non servì un ricovero d'urgenza che si concluse tragicamente, nell'agosto dell'anno successivo. Il consulente del giudice di Monza a cui si era rivolta la figlia dell'anziano per ottenere un risarcimento ha stabilito «con sicurezza» che la morte fu causata da «una infezione contratta nel corso dell'intervento di sostituzione del pace-maker» e a «un ritardo nella diagnosi». Ha sottolineato, inoltre, che non furono tolti i precedenti cateteri il cui «abbandono» ha «registrato un'elevata incidenza in termini di recidive e di mortalità».

Ed è per questo che il giudice di Monza ha condannato l'ospedale a pagare oltre 180mila euro alla figlia dell'uomo, assistita dall'avvocato Giuseppe Badolato. Il magistrato non si è trovato d'accordo con il consulente nell'attribuire le cause del decesso al medico curante, che, peraltro, in quei 16 mesi aveva avuto contatti sporadici con il paziente e ha condannato l'azienda ospedaliera di Desio (Monza) spiegando che «è onere» della stessa azienda provare «di aver eseguito l'intervento a regola d'arte e che pertanto l'infezione in sede cardiaca si sia verificata per un evento imprevedibile e inevitabile e non per un'omissione di una attività cui era tenuta».

Tra gli elementi di responsabilità, il giudice evidenzia «una precisa scelta medica, considerata non adeguata al caso concreto dal CTU (consulente tecnico d'ufficio, ndr.): gli elettrocateteri propri del primo generatore vennero lasciati in situ e in cartella clinica non è riportata alcuna annotazione che faccia rilevare l'eventuale valutazione di un maggior rischio dell'espianto rispetto alla bonifica. L'uomo »era diabetico, condizione che, determinando sia uno stato di uno immuno-depressione relativa del paziente sia la necessità di effettuare perforazioni della pelle, che costituiscono possibili vie di accesso di agenti patogeni, ha costituito un fattore di aumento del rischio di infezioni«. »Sarebbe stato più conforme alle regole d'arte che, in presenza di soggetto ad elevato rischio di infezioni- conclude il giudice - l'Ospedale avesse rimosso l'ulteriore fattore di rischio con la rimozione dei cateteri«. 
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