La zona rossa dell’area di Milano fa gridare i commercianti al «disastro economico». Secondo Confcommercio, il decreto del governo per arginare la seconda ondata di Covid, ha imposto lo chiusura, dallo scorso 6 novembre, a 50mila attività commerciali, tra negozi, bar e ristoranti» di Milano e provincia. E ciò ha causato, in base a una stima, «una perdita complessiva di 1,7 miliardi di euro, ovvero il 9% del fatturato annuo».
Un bilancio da profondo rosso, perché si devono sommare anche i mancati introiti del primo lockdown di marzo; e la ripresa, in estate, non esplosiva ma al rallentatore. La fotografia è che, dopo questo secondo stop forzato, secondo lo studio di Confcommercio, «rischia di morire un’attività su tre, raddoppiando di conseguenza il livello di disoccupazione, che dal 6% salirà almeno al 12». A chiudere per sempre sono i negozi meno strutturati a conduzione familiare, ma anche le catene di abbigliamento hanno già ridotto i punti vendita. Milano e l’hinterland stanno soffrendo, più di altre realtà, perché «oltre il 60% dell’economia meneghina è basata proprio sul terziario che garantisce lavoro a 1,7 milioni di addetti».
Ristoratori e negozianti navigano in pessime acque, molti dei quali da febbraio ad oggi hanno accumulati debiti, nonostante vantassero un volume d’affari di centinaia di migliaia di euro.