Operaia minacciata dall'azienda: «Non dovevi fare un altro figlio, ora al lavoro ti faremo morire»

Operaia minacciata dall'azienda: «Non dovevi fare un altro figlio, ora al lavoro ti faremo morire»
Operaia minacciata dall'azienda: «Non dovevi fare un altro figlio, ora al lavoro ti faremo morire»
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Martedì 8 Ottobre 2019, 10:26 - Ultimo aggiornamento: 10:55
Un caso eclatante, ma probabilmente non isolato, quello della dipendente di un'azienda familiare in Lombardia che si è ritrovata discriminata sul lavoro dopo aver scelto di mettere al mondo il suo secondo figlio. Minacce velate dietro il tono amichevole di un consulente dell'azienda e che mettono in luce una realtà che attanaglia tante donne sul lavoro.

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A raccontare la vicenda di Chiara è il Corriere della Sera: in 15 anni di lavoro per la stessa azienda, questa donna aveva già avuto un figlio e non c'era stato alcun problema. Ai vertici dell'azienda, però, recentemente c'è stato un cambio generazionale e Chiara un anno fa ha scoperto di essere di nuovo incinta. Il nuovo capo lo era venuto a sapere, nei termini previsti secondo la donna, e si è subito rivolto così a lei: «Dovevi dirmelo già quando tu e il tuo compagno avete deciso di avere un altro bambino». Quando Chiara prova a obiettare che nei primi tre mesi di gravidanza possono succedere tante cose, l'uomo le ha risposto così: «Perché, se lo avessi perso non me lo avresti detto?».

La vicenda, però, non finisce qui. Perché dopo la gravidanza, Chiara inizia ad essere oggetto di vere e proprie discriminazioni. La donna racconta così la sua vicenda: «Appena tornata al lavoro, sono stata demansionata. Mentre ero in maternità hanno assunto una persona a tempo indeterminato per sostituirmi e un consulente dell'azienda mi aveva proposto dimissioni incentivate con una buona uscita. Mi ha detto: "Ti conviene accettare l'offerta, se rientri al lavoro ti faranno morire"».

Parole che suonano vagamente minacciose, ma che sono il preludio a ciò che avrebbe vissuto la donna di lì a poco. «Tornata al lavoro dopo la maternità, non sono stata ricevuta dai dirigenti dell'azienda ma da un consulente, che mi aveva comunicato il riposizionamento. Ero responsabile di reparto, mi sono ritrovata a fare fotocopie, rispondere al citofono ma non al telefono, archiviare fascicoli e distruggere documenti» - spiega ancora Chiara, che si è rivolta alla Cgil - «Nel mio pc non c'è la posta elettronica, vengo esclusa dalle riunioni e tutti mi ignorano. Avevano addirittura cambiato il cancello elettrico e solo a me non era stato consegnato il telecomando. Anche i colleghi avevano iniziato ad attaccarmi, facendo osservazioni su presunti errori».

Proprio per questo, Chiara ha deciso di rivolgersi al sindacato: «Sto vivendo una situazione preoccupante, ma vado avanti perché so di aver ragione».
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