Dai camerieri ai cuochi, agli aiutanti in cucina. «È come cercare l’acqua nel deserto», dice Michele Berteramo, vicepresidente Epam, l’Associazione dei pubblici esercizi di Milano, e titolare di due ristoranti sul Naviglio Pavese. «Il Covid ha rimescolato le carte nel nostro settore: sono cambiate le priorità dei lavoratori, ma se vogliamo ripartire tutti devono rimboccarsi le maniche».
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Nella Milano frenetica e iperattiva è passata la voglia di lavorare?
«Io sto cercando un cuoco e un cameriere dallo scorso febbraio e non li trovo.
Cos’è cambiato rispetto al pre Covid?
«Innanzitutto, il Covid ha fatto riscoprire il piacere di stare maggiormente in casa con la famiglia, soprattutto la sera e nei weekend, quando nel nostro settore si deve essere presenti. Poi, chi ha perso il lavoro per le chiusure imposte ha cercato altrove e la logistica - fattorini, magazzinieri, rider - ha assorbito buona parte delle nostre maestranze. Infine, il nodo del reddito di cittadinanza: nessuno è disposto a perderlo e a ricollocarsi. Le persone ci chiedono di lavorare in nero, ma è una proposta indecente».
Dunque?
«Tiriamo avanti a ranghi ridotti. E cosa si fa? Si mandano a casa i clienti? No. Quindi, si fanno straordinari e si corre di più, rischiando di penalizzare la qualità del servizio».
Quanto guadagna un cameriere?
«Io do le cifre e poi ognuno può giudicare: un cameriere alle prime armi, 40 ore la settimana, ha uno stipendio netto da 1.100 a 1.300 euro. Uno esperto non meno di 1.800 euro, bonus esclusi».