«Baristi, colf, partite Iva: ecco i nostri nuovi poveri». L'intervista a Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana

«Baristi, colf, partite Iva: ecco i nostri nuovi poveri». L'intervista a Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana
di Simona Romanò
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Martedì 12 Maggio 2020, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 08:45
Proprietari di piccoli botteghe, titolari di bar costretti da tre mesi alla chiusura per il coronavirus, partite Iva senza sostegno economico per il blocco imposto dall’emergenza Covid. Sono i nuovi poveri che a Milano si rivolgono alla Caritas. «Non ci sono più solo gli indigenti cronici, ma anche cittadini momentaneamente senza stipendio e risparmi che devono pagare mutui, affitti, bollette. E non ci riescono. Facciamo il possibile per tenerli a galla, sperando che si risollevino quando il sistema ripartirà. Altrimenti sarà un disastro», dichiara Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana.
Quanti cittadini si rivolgono a voi non riuscendo nemmeno ad acquistare generi alimentari?
«I nostri “clienti” negli otto empori solidali e nelle sei botteghe sono raddoppiati: a Milano ricevono beni alimentari 5mila famiglie al giorno contro le 2500 di prima. Nell’intera Diocesi Ambrosiana siamo arrivati a quota 16.500. Un numero destinato a crescere per tante ragione».
Sono cambiati i bisogni delle persone in difficoltà?
«I bisogno sono aumentati. Cresce la richiesta di beni di prima necessità, come cibo e vestiario, ma anche la domanda di aiuti economici per il pagamento delle spese di gestione della casa, come le bollette. Possiamo tracciare tre identikit di soggetti in difficoltà».
Spieghi.
«Ai poveri cronici, che senza aiuti soffrirebbero la fame, si è aggiunta la galassia di coloro che sbarcavano il lunario con i lavoretti: badanti, colf, baby setter, donne delle pulizie a chiamata nel settore della ristorazione. Non sempre in nero, anche con contratti in regola, seppur precari e stipendi miseri. A loro, appena è scoppiata l’epidemia, è mancato quel poco che gli permetteva di tirare a fine mese. Poi, ci sono coloro che, più di ogni altro, ci fanno preoccupare, perché sono caduti in disgrazia nell’arco di poche settimane».
Chi sono?
«Le vittime delle chiusure forzate, come i piccoli commercianti, con spese che non riescono a sostenere; le partite Iva senza reddito. A tutti loro ci rivolgiamo con il fondo San Giuseppe, istituito dall’Arcivescovo di Milano con uno stanziamento di 2 milioni e dal Comune che ha contribuito con altri 2 milioni. Vanno poi aggiunte le donazioni che, ad oggi, ci hanno permesso di arrivare a più di 6 milioni».
Come funziona il fondo?
«In un mese abbiamo ricevuto 800 richieste, 300 delle quali già analizzate, per il bonus di tre mesi, rinnovabili, da 400 a 800 euro in base al numero dei famigliari».
Qual è il vostro obiettivo?
«Tentiamo di far sopravvivere chi ha una chance, con l’attenzione rivolta al loro destino quando sarà consentita la piena ripresa del lavoro. Bisogna fare bene e presto se non vogliamo che precipitino nella povertà e diventi poi difficile aiutarli a risalire la china».
Con quale stato d’animo chiedono aiuto?
«Sono disperati, temendo di non farcela. Ora dipende dalla capacità delle istituzioni di far pervenire gli aiuti con interventi immediati. A giugno, luglio è troppo tardi».
Come vede il futuro?
«Dobbiamo essere pronti a leccarci le ferite.
Perché l’impoverimento della popolazione e le conseguenze del covid-19 le vedremo fra parecchi mesi. Allora, anche il ceto medio soffrirà, perchè nessuno è immune dalla povertà».
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