Il ristoratore: «Regole confuse e zero aiuti, ecco perché oggi uno su tre rimarrà chiuso»

Il ristoratore: «Regole confuse e zero aiuti, ecco perché oggi uno su tre rimarrà chiuso»
di Simona Romanò
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Lunedì 18 Maggio 2020, 06:00
Alfredo Zini è la quarta generazione che accoglie i clienti nello storico ristorante toscano Al Tronco, aperto nel 1933. È «amareggiato e arrabbiato per la mancanza di regole chiare e aiuti concreti immediati nella Fase 2». Da oggi potrebbe alzare la saracinesca, ma non lo farà.
Perché?
«Abbiamo una voglia matta di ricominciare per rincontrare la nostra clientela, ma a queste condizioni non apriamo per non fallire. Nessuno getta la spugna, anzi è il contrario. Stiamo ragionando proprio per non essere costretti a chiudere definitivamente. Il dilemma delle regole anti-contagio tormenta gran parte dei ristoratori, infatti circa il 30 per cento di pubblici esercizi in città non aprirà subito. Qualcuno ipotizza di prendersi ancora qualche settimana, altri di ricominciare solo quando il virus permetterà di vivere in un contesto più sereno».
Che cosa frena le riaperture?
«La giungla delle norme, non di facile applicazione nel nostro settore, che vive di socialità. La distanza di sicurezza per esempio: fra i tavoli deve esserci almeno un metro e anche i commensali dello stesso gruppo devono essere distanti un metro se non appartengono alla stessa famiglia. Oltre la metà dei coperti salta e da 70 passiamo a 30.
Quantifichi il danno.
«Così non copriamo nemmeno le spese fisse, che non sono sospese. Le riaperture fanno schizzare i costi al 100 per cento, oltre all’investimento iniziale per tutti i dispositivi, dalla sanificazione al termo scanner, alla revisione dell’impianto di climatizzazione. Un locale di 100 metri quadrati spende oltre cinquemila euro per mettersi a norma anti-coronavirus. Non possiamo permettercelo».
Che cosa proponete?
«Vogliamo ritornare più vitali di prima, ma senza gli aiuti promessi, dalla rimodulazione delle bollette alla liquidità a fondo perso, dalla moratoria per la tassa rifiuti, rischiamo di non farcela se riapriamo.
La Milano da bere e da mangiare rischia di spegnersi».
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