Nell’anno senza aperitivo chiusi per sempre 567 bar

Nell’anno senza aperitivo chiusi per sempre 567 bar
di Simona Romanò
3 Minuti di Lettura
Lunedì 12 Aprile 2021, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 19:24

Dalla Milano da bere, frenetica, sempre accesa, sempre di corsa, alla Milano delle serrande abbassate. Dove tanti locali hanno chiuso per sempre, annientati dai lockdown, dalle restrizioni anti-Covid, e dall’obbligo di chiudere alle 18.

ATTIVITÀ CESSATE. Secondo il rapporto di inizio aprile del centro studi della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) di Confcommercio, a Milano e provincia, si registrano, nel 2020, ben 567 cessazioni di attività, fra bar e altri esercizi di somministrazione bevande, dalle caffetterie ai pub serali (in tutto circa cinquemila nella Città Metropolitana). E parallelamente si è visto il crollo nella nascita di nuove realtà, perché pochi hanno il coraggio di provarci: solo 166. Il Covid ha colpito duro la categoria. C’è chi è fallito. Chi al momento non apre, nemmeno nella Milano arancione, perché non ne vale la pena. Chi sta ancora pensando al da farsi. Chi invece tiene duro e la saracinesca la alza, anche se segnato nel portafoglio.

BILANCIO. «Un settore in ginocchio da un anno di restrizioni anti-Covid senza ristori adeguati - commenta Carlo Squeri, segretario di Epam, l’associazione dei pubblici esercizi di Milano - sul fronte delle cessazioni il fenomeno è più accentuato in città che in provincia per i costi fissi insostenibili, in primis gli affitti altissimi.

E i proprietari immobiliari non sono sempre propensi ad andare incontro ai ristoratori in difficoltà». Il timore è che il bilancio delle chiusure a fine 2021 «sarà ancora peggiore». L’orizzonte della vera ripresa, per i titolari dei locali, «non prima del 2023». Perché le abitudini, amate dai milanesi, sono state spazzate via dalla pandemia. Come il caffè al volo al bancone che era un rito quotidiano. Il cornetto con il cappuccino per una pausa golosa. La moda dell’happy hour, dopo otto ore di lavoro, per incontrare amici, scambiare due chiacchiere con un drink in mano.

CHIUSI PER SCELTA. La zona arancione è la prima tappa di quella rincorsa alla normalità che si sta costruendo. Per i bar tuttavia non cambia molto, perché è consentito solo l’asporto e la consegna a domicilio. Uno spiraglio si potrebbe vedere con la gialla (possibile in base al governo dopo il 30 aprile), ma anche allora, secondo Epam, «circa il 30%, ovvero tre su dieci, non apriranno per loro scelta». Perché lavorare a mezzo servizio non conviene, visto che alle 18 devono comunque chiudere al pubblico. «È un disastro: di giorno, siamo abbastanza vuoti, perché gli uffici sono per lo più in smart working; e bloccarci alle 18 è un durissimo colpo, perché perdiamo il guadagno serale, dall’aperitivo alla cena, che rappresenta il 75% del fatturato», spiega Fabio Acampora, vicepresidente Epam. «Ci accontenteremmo di tornare alle regole della scorsa estate, per poter riaccogliere i clienti e recuperare tanto basta per proseguire nel nostro lavoro. Con il coprifuoco spostato alle 23».

PERDITE. Ogni settimana di chiusura costa molto caro alle attività commerciali di Milano e hinterland: ogni sette giorni perdono, secondo una stima di Confcommercio, 290,2 milioni di euro. Il calo di fatturato per i ristoratori è di almeno l’80% rispetto all’era pre-virus.

© RIPRODUZIONE RISERVATA