Alluvione Marche, faro sui lavori mai fatti: 11 vittime. Ponti, argini e bacini: lo scandalo delle opere finanziate e non finite

Il governo Renzi stanziò 45 milioni per il fiume Misa, Conte ripartì da zero. La vasca che poteva limitare i danni a Senigallia è in stand by dal 2014.

Alluvione Marche, faro sui lavori mai fatti: 11 vittime. Ponti, argini e bacini: lo scandalo dei lavori finanziati e mai finiti
​Alluvione Marche, faro sui lavori mai fatti: 11 vittime. Ponti, argini e bacini: lo scandalo dei lavori finanziati e mai finiti
di Francesco Malfetano
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Domenica 18 Settembre 2022, 01:14 - Ultimo aggiornamento: 16:21

Quella del fiume Misa è una delle tante storie italiane già viste. Dietro la tragedia marchigiana infatti, non c’è solo il clima impazzito con la sua imprevedibilità, ma pure la purtroppo prevedibile mancata prevenzione, paralizzata - al pari delle opere necessarie - da burocrazia e mala gestione delle risorse disponibili.

Non a caso quello dello stato dei lavori di manutenzione e pulizia dei corsi d’acqua marchigiani è uno dei filoni di indagine (assieme alla mancata allerta della popolazione) a cui stanno lavorando i Carabinieri forestali che, fanno sapere, nell’ambito del fascicolo aperto a carico di ignoti dalla procura di Ancona per omicidio colposo e inondazione colposa, hanno già acquisito dei documenti negli uffici della Regione e per oggi hanno in programma nuovi sopralluoghi lungo le sponde di fiumi e torrenti coinvolti. 

Inevitabilmente la vicenda fa rabbia. Stavolta infatti i fondi per mettere in sicurezza un’area notoriamente a rischio c’erano. A seguito dell’alluvione del 2014 (che causò 4 morti e 180 milioni di euro di danni), il governo di Matteo Renzi stanziò 45 milioni di euro proprio per la «Sistemazione idraulica Fiume Misa» nell’ambito del piano ItaliaSicura, nato per la riduzione del dissesto idrogeologico e poi “cresciuto” sotto il governo Gentiloni.

A ricordarlo ieri, è stato proprio l’ex premier oggi leader di Iv: «Avevamo messo i soldi, ma il progetto è stato fatto nel 2020» e «così il cantiere apre nel 2023». Tardi. Troppo. Specie se si cerca di comprendere le cause del ritardo.


LE MOTIVAZIONI
«A fare la differenza in queste situazioni è la rapidità. Per le opere di messa in sicurezza serve acquisire il ritmo dell’emergenza». A spiegarlo è Erasmo De Angelis, ex sottosegretario alle Infrastrutture del governo Letta a capo della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico di ItaliaSicura. «Eppure i progetti per quell’area risalgono agli anni ‘80 quando il Fio (Fondo per investimenti e occupazione ndr) finanziò la vasca di laminazione nella frazione di Bettolelle». Vale a dire l’opera a monte di Senigallia che avrebbe «mitigato i danni causati da questa alluvione». Una situazione più o meno analoga, spiega una fonte che ha lavorato per anni al dossier idrogeologico marchigiano, a quella relativa ai piloni dei ponti che permettono di attraversare il fiume. «Già nel 2014 hanno agito da tappo - ragiona - e quindi sarebbero stati da diminuire, ma lo si è fatto solo per il ponte del 2 giugno. Ne restano tre che sono identici a vent’anni fa e la Regione non è intervenuta».

 


Ma se i fondi c’erano com’è possibile che i lavori non siano stati realizzati? La risposta non sta solo nascosta nei meandri dei bizantinismi italiani, ma anche nella politica. Cos’è successo ad esempio a Bettolelle, dove peraltro mercoledì è morto un anziano? L’iter avviato subito dopo la precedente alluvione si impantana a cavallo tra il 2018 e il 2020. Un primo stop infatti arriva quando, a meno di un mese dal suo insediamento, il governo guidato da Giuseppe Conte dismette la struttura di missione di ItaliaSicura trasferendo le competenze al ministero dell’Ambiente. Una scelta che è stata anche criticata dalla Corte dei conti a fine 2021.

Dopo aver abolito le strutture di missione l’esecutivo gialloverde istituì un nuovo piano, il ProteggItalia. Un progetto ancora in essere che mobilita risorse pari a 14,3 miliardi di euro fino al 2030 e che però, stando alla magistratura contabile, pur avendo introdotto delle semplificazioni ha causato «un’eccessiva proliferazione e frammentazione delle piattaforme e dei sistemi informativi». Ha cioè frenato «sia l’adozione dei processi decisionali che quelli attuativi».


Un rallentamento che, riportato alle dinamiche locali su Bettolelle, ha causato una serie «di rimpalli amministrativi» spiega la nostra fonte. In primis con il passaggio delle competenze dalla struttura di missione al ministero, poi dalle Provincie alle Regioni. Per di più, di stop ce ne sono stati anche altri. E come se non bastasse un ulteriore blocco causato dalle Valutazioni di impatto ambientale, quando poco prima dell’inizio della pandemia si è arrivati all’assegnazione dell’appalto per i progetti che avrebbero limitato i danni di questa alluvione (poi partiti ad inizio 2022), ci sono state «difficoltà con gli espropri» e soprattutto «la ditta assegnataria dei lavori ha contestato i compensi».

Tant’è che nel 2021 la Regione, per non perdere uno stanziamento di 900mila euro, rimodula il finanziamento con un nuovo progetto esecutivo che consente la consegna dei cantieri. Ma gli appalti in questo caso finiscono, insieme a quelli per altri fiumi, sotto la lente della Procura di Ancona che arresta funzionari pubblici e imprenditori privati per turbativa d’asta (l’inchiesta è ancora in corso). Una vicenda “estrema” che però ha caratteristiche in comune con molti dei progetti storici che nelle Marche non sono ancora stati completati come la sistemazione idraulica del Fosso Manarini (foce del fiume Esino ad Ancona) o la mitigazione del rischio per il fiume Aso a Montefalcone Appenino.

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