Graziano Mesina, “Grazianeddu”, una vita tra crimine e donne: dal travestimento da prete alla fuga per vedere il Cagliari di Gigi Riva

Grazianeddu , una vita tra crimine e donne: dal travestimento da prete alla fuga per vedere il Cagliari di Gigi Riva
“Grazianeddu”, una vita tra crimine e donne: dal travestimento da prete alla fuga per vedere il Cagliari di Gigi Riva
di Cristiana Mangani
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Sabato 18 Dicembre 2021, 11:19

Il suo nome era inserito nell'elenco dei cinque latitanti più pericolosi d'Italia. E' sempre stato molto abile, “Grazianeddu”, a far perdere le sue tracce. Una vita, la sua, tra misteri, strane mediazioni e complicità sospette. Graziano Mesina aveva 14 anni, nel 1956, quando è stato arrestato la prima volta, perché trovato in possesso di un fucile rubato. Se l'è cavata con il perdono giudiziale, ma l'arresto è stato l'inizio di una vita fatta di crimini, carcere, condanne ed evasioni. Ventidue, per l’esattezza, dieci delle quali riuscite, anche in maniera rocambolesca. E vari periodi di latitanza, in parte trascorsi sul Supramonte.

Penultimo di undici figli di un pastore  sardo, ha messo in scena la sua ultima fuga a 79 anni, il 2 luglio del 2020. È sparito dalla sua Orgosolo, in Sardegna, mentre un verdetto della Cassazione rendeva definitiva l’ennesima condanna nei suoi confronti. A 30 anni, questa volta, per traffico internazionale di droga. Scarcerato per una scadenza di termini nel 2019 - quando ancora il suo caso pendeva davanti alla Suprema corte - aveva l’obbligo di dimora nel paese sardo. Ed è lì che hanno continuato a cercarlo i carabinieri del Ros, nella sua isola. E lo hanno rintracciato in una abitazione di Desulo, centro del nuorese, a 45 chilometri dalla sua Orgosolo. Ancora una volta si era insomma nascosto nello stesso territorio dov'era cresciuto e dove aveva compiuto le prime imprese criminali. Del resto aveva rivelato che per seguire il Cagliari di Gigi Riva non aveva esitato a travestirsi per andare allo stadio anche durante i lunghi periodi di latitanza.

Mesina e il crimine si incontrano molto presto: ha 19 anni quando tenta di uccidere una persona. Era il 1961 e quei colpi di pistola con i quali ha ferito, in un bar di Orgosolo, Luigi Mereu, un pastore che aveva accusato di vari reati la sua famiglia, gli sono costati i primi 16 anni di carcere. La faida tra cosche lo porta, poi, sul banco degli imputati come esecutore dell'omicidio di Andrea Muscau, nel bar “Cavanedda. E le condanne si fanno molto più pesanti. Alla fine, tra sentenze e ulteriori anni di reclusione, le porte del carcere si chiudono a vita. O almeno questo i giudici avevano previsto emettendo la pena dell'ergastolo nei suoi confronti.

Ma “Grazianeddu” non riusciva proprio ad accettare il carcere. E tra una fuga e l’altra - una da un treno in corsa, durante un trasferimento - è riuscito anche a organizzare diversi sequestri di persona. Quindi, ancora carcere, finché si trasforma in un bandito “buono”: è in permesso quando, nel 1992, fa da mediatore per la liberazione di Farouk Kassam. Il bimbo, 7 anni, figlio di un albergatore, rapito nella villa dei genitori a Porto Cervo, resta nelle mani di una banda per sei mesi. Gli viene tagliato un orecchio, ma torna a casa il 10 luglio. La trattativa per la sua liberazione è rimasta sempre un mistero.

Tra cumuli di pene e sentenze varie, Mesina ha comunque trascorso in carcere gran parte della sua vita, nonostante le tante evasioni.

Nel maggio del 1962, durante un trasferimento dal penitenziario di Sassari, si lancia da un treno. La libertà dura poco perché viene catturato dopo un lungo inseguimento.

Dello stesso anno è la terza evasione, questa volta dall’ospedale di Nuoro dov’era ricoverato. Per sfuggire alle forze dell'ordine rimane nascosto due giorni e due notti in un grosso tubo nel cortile del presidio. 

Evade anche dal carcere di Lecce nel 1976, insieme ad altri detenuti, tra i quali un esponente dei Nap, i Nuclei armati proletari, attivi negli anni del terrorismo rosso e nero. Anche questa volta, per non farsi riprendere, l'ex Primula rossa del banditismo sardo si nasconde una notte e un giorno, in mezzo ai rami di una pianta, non distante dal penitenziario della città pugliese. Esce da lì solo quando le forze dell’ordine spostano il punto delle ricerche. La latitanza dura quasi un anno. E con questa sembra arrivare la trasformazione. Dopo essere stato rinchiuso nel penitenziario di Porto Azzurro per scontare l’ergastolo, Mesina tiene un comportamento irreprensibile per ottenere il riesame della sua vicenda processuale. Però, non resiste e nel 1985 si allontanana ancora una volta dal carcere, ma ora per inseguire una storia d'amore: una donna con la quale - dice - «volevo invecchiare». Viene rintracciato e catturato. Le sue evasioni e la sua latitanza sono diventate mitiche in Sardegna e si racconta che spesso tornasse a Orgosolo proprio per incontrare donne innamorate di lui.

La quarta volta “Grazianeddu” evade dal carcere di San Sebastiano di Sassari, insieme con l’ex legionario spagnolo Miguel Atienza. I due si lanciano dal muro di cinta del penitenziario. E' 1966: i testimoni raccontano di averlo visto vestito da prete, per mischiarsi tra la gente e riguadagnare i monti della sua Orgosolo. Tanto che nel paese barbaricino in quei giorni i carabinieri cominciano a seguire quattro sacerdoti, che passeggiavano per l’abitato, vestiti con la tonaca scura, ignari di quanto stesse succedendo intorno a loro. Mesina rimane nascosto fino al 20 marzo del 1968 quando viene catturato a un posto di blocco da una pattuglia della polizia stradale.

C'è anche la grazia del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che arriva nel 2004, con la quale gli viene cancellato l’ergastolo. Mesina inizia a fare da guida turistica sul Supramonte, di cui conosceva molti segreti.  E fa percorrere ai turisti curiosi anche il sentiero da dove era scappato in una delle sue tante fughe e l’incrocio, il punto preciso, dove ha trattato la liberazione di Farouk. Ma la travagliata vita di Grazianeddu non ha avuto un epilogo bucolico.

Nel 2013 arriva di nuovo il carcere, questa volta l’accusa è traffico internazionale di droga. Da dietro le sbarre, dopo la condanna di primo grado a 30 anni, chiede di passare ai domiciliari. La Cassazione, con una decisione del 2017, dirà che non è possibile, per i suoi precedenti penali, per i suoi contatti con altri criminali. Per le sue numerose fughe. La libertà Mesina l’ha rivista l’anno scorso. Non totale, perché aveva l’obbligo di dimora a Orgosolo, ma nel suo paese poteva circolare liberamente. Fino a a luglio 2020 quando, mentre la Suprema corte lo condannava ancora - ha fatto perdere di nuovo le sue tracce. A quasi 80 anni, un colpo di teatro, forse l’ultimo della sua vita, che ha lasciato tutti spiazzati. E ora, dopo il nuovo arresto, in paese, a Orgosolo, dicono: «Dovevate lasciarlo in pace».

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