Google smaschera pedofilo a Milano, arrestato aveva 10 mila file nel computer

Google smaschera pedofilo a Milano, arrestato aveva 10 mila file nel computer
Google smaschera pedofilo a Milano, arrestato aveva 10 mila file nel computer
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Lunedì 1 Marzo 2021, 18:23

L’allarme è partito da Google, con la comunicazione che un loro utente aveva caricato sul sistema di archiviazione del gigante del web 254 immagini di carattere pedopornografico. Così un trentatreenne residente nel milanese è stato arrestato per aver «partecipato a un “gruppo telematico” finalizzato alla condivisione di immagini e filmati pedopornografici» e per aver «posto una ingente quantità di materiale» a «disposizione di un numero indeterminato di persone, tramite la condivisione» di un link ad una cartella presente su un suo cloud.

ALLARMANTE DIPENDENZA

Dall'ordinanza di custodia in carcere, firmata dal gip Guido Salvini nelle indagini del pm di Milano Giovanni Tarzia e della polizia postale, dopo segnalazioni arrivate dalle forze dell'ordine di Nuova Zelanda, Usa e Canada, è emerso che l'uomo deteneva oltre 10 mila file con immagini e video di orrori su neonati e bambini e che il collegamento al suo cloud veniva «utilizzato da più di mille persone di cui seicento residenti in Italia». Per il giudice, come si legge nell'ordinanza di custodia in carcere, «il consumo di materiale pedopornografico», che poi metteva a disposizione di centinaia di altre persone, era diventato per il trentatreenne di Sesto San Giovanni (Milano) «una allarmante dipendenza».

GOOGLE

L'inchiesta, si legge nel provvedimento, «ha tratto origine dalla segnalazione effettuata dall'organo statunitense Ncmec cyber tipline il quale riferiva al Servizio centrale della polizia postale italiana di aver ricevuto, dalla società Google, la comunicazione che un loro utente» aveva «caricato sul loro servizio di archiviazione 254 immagini di carattere pedopornografico».

E così nei confronti dell'uomo veniva eseguito un decreto di perquisizione nel giugno dello scorso anno. L'indagato, dopo la perquisizione, aveva ammesso «di aver in uso l'utenza indicata, le caselle mail nonché i dispositivi apparsi di interesse a seguito della ispezione informatica». Negli atti si legge che «si è giunti all'identificazione dell'indagato grazie all'attività investigativa denominata “Operation Heketera” svolta dagli Affari interni della Nuova Zelanda sul servizio di cloud Mega.Nz», i cui risultati sono stati poi condivisi con l'Agenzia europol e il Federal bureau of investigation al fine di esaminare le informazioni relative ai singoli utenti nelle rispettive nazioni, tra cui l'Italia, che avevano scaricato materiale realizzato utilizzando minori».

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