Caso camici, inchiesta in Lombardia: «Anche Fontana si interessò dell'appalto a suo cognato»

Caso camici, inchiesta in Lombardia: «Anche Fontana si interessò dell'appalto a suo cognato»
Caso camici, inchiesta in Lombardia: «Anche Fontana si interessò dell'appalto a suo cognato»
di Claudia Guasco
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Venerdì 10 Luglio 2020, 07:49 - Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 11:31

Ci sarebbe «un interessamento diretto del governatore Attilio Fontana» nella fase di trasformazione dell'ordine di acquisto diretto in donazione. Ne sono convinti i magistrati di Milano, stando a quanto emerge dai primi atti, che indagano sulla fornitura di camici e altro materiale sanitario da parte di Dama. La società è gestita dal cognato del presidente della Regione Lombardia Andrea Dini, erede di una famiglia di imprenditori storici di Varese che producono il marchio Paul&Shark, mentre la moglie del governatore è azionista con il 10%. La dotazione di camici, copricapi e calzari sanitari per un valore di 513.000 euro alla fine non è mai stata liquidata, ma l'ipotesi di reato su cui lavorano i magistrati è turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente.

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AFFARE SFUMATO
Dini e Filippo Bongiovanni, direttore generale di Aria spa, la centrale acquisti della Regione, sono i primi due indagati. Dei 75 mila camici della fornitura al centro delle indagini, 50 mila sarebbero stati messi a disposizione di Aria come donazione da parte di Dama, ma dopo la trasformazione da fornitura in donazione Dini secondo i pm avrebbe cercato di rivendere i restanti 25 mila per ottimizzare almeno in parte l'affare sfumato. I magistrati collegano lo storno delle fatture del 22 maggio a una precedente intervista del 15 maggio di Report a Fontana: in quell'occasione non si parla della questione camici, ma nei giorni successivi - emerge dagli atti - il governatore sarebbe intervenuto per mettere una toppa sull'anomalia della firma del contratto. Gli investigatori stanno verificando se sia stato corretto affidare quella fornitura alla società di Dini, avvenuta tra l'altro senza gara e con procedura di assegnazione diretta. Tra i temi di indagine, oltre al fatto che il numero dei dispositivi di protezione poi effettivamente donati sia stato minore rispetto a quello riportato nel contratto e che lo storno delle fatture abbia riguardato una cifra inferiore a quella pattuita, c'è anche un altro punto che tocca l'assessore Raffaele Cattaneo, responsabile dell'unità regionale per il reperimento dei dispositivi di protezione anti-Covid. Sarebbe stato lui a consigliare ad Aria di scegliere Dama, particolare non indifferente: fa ipotizzare che fosse stato al corrente che si trattasse una società legata alla famiglia Fontana. Da fatture, nota di credito, documento di offerta e storno delle fatture acquisite dalla guardia di finanza, i pm ritengono che quell'offerta di dispositivi nell'emergenza Covid non sarebbe stata una donazione ma una fornitura da parte della Dama. Ieri i magistrati hanno ascoltato per sette ore Carmen Schweigl, responsabile della struttura gare e numero due di Aria: ha riferito delle modalità con cui è stato stipulato il contratto di fornitura e sui motivi per cui si è trasformato in una donazione.

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