Elena Del Pozzo colpita con la zappa. Così la mamma ha studiato l’omicidio (e anche l’alibi)

Il delitto compiuto a casa, poi la donna ha usato sacchi per portare il corpo nei campi

Elena colpita con la zappa. Così la mamma ha studiato l’omicidio (e anche l’alibi)
Elena colpita con la zappa. Così la mamma ha studiato l’omicidio (e anche l’alibi)
di Valeria Di Corrado
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Giovedì 16 Giugno 2022, 00:18 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 12:14

Aveva pianificato tutto nei minimi dettagli: come uccidere Elena, in che modo e dove occultare il suo cadavere, quando denunciare la sua sparizione e persino su chi scaricare i sospetti del presunto rapimento. Martina Patti, la 23enne fermata con l’accusa di omicidio premeditato pluriaggravato e occultamento di cadavere, aveva reperito anche gli arnesi per uccidere sua figlia e seppellirla, tra cui anche una zappa. Ormai è escluso che il delitto sia avvenuto nel campo dove è stato ritrovato il corpo della piccola di 5 anni: lì, infatti, non c’erano tracce di sangue. Con ogni probabilità si è consumato all’interno della casa dove la mamma viveva con la bambina, ora sottoposta a sequestro dalla Procura di Catania

Elena Dal Pozzo, come è morta? L'ipotesi del complice, l'indagine sul luogo del delitto e il nuovo interrogatorio della madre

Elena colpita con la zappa

La conferma arriverà non appena i carabinieri del Sis entreranno nell’appartamento per i rilievi.

Quindi la 23enne, dopo aver ucciso la figlia colpendola più volte con la lama alla schiena e al collo, avrebbe preso in braccio il corpo esanime della piccola e l’avrebbe caricato nell’auto, per poi scaricarlo nel campo a 600 metri dalla sua abitazione, a Mascalucia. La donna avrebbe agito da sola, anche nell’opera di occultamento del cadavere: ha cercato di infilare arti e testa in 5 sacchi dell’immondizia e lo ha coperto parzialmente con pietre, terra e la “sciara” (una polvere costituita dai residui delle eruzioni dell’Etna). Il corpo è stato ritrovato nudo e a faccia in giù dai militari del comando provinciale di Catania.

L’ALIBI STUDIATO A TAVOLINO
Martina, dopo essersi macchiata del delitto più atroce per una madre, è tornata a casa, si è tolta gli abiti sporchi di sangue ed è andata dai carabinieri a denunciare il rapimento della figlia da parte di un commando di uomini incappucciati. Ma la sua versione, per quanto dettagliata, non ha convinto gli inquirenti. Non era chiaro come i rapitori avessero potuto fermare l’auto, sequestrare la bambina e poi scappare a piedi. Per giunta, nel punto della strada in cui la donna ha riferito di essere stata bloccata c’era una telecamera di sorveglianza che ha ripreso la macchina della 23enne transitare senza nessun “intoppo”. Eppure aveva fornito anche il movente di quel presunto rapimento (che poi rappresentava il suo alibi): ha spiegato che l’ex compagno con cui conviveva aveva ricevuto un anno fa un biglietto di minacce appena uscito dal carcere, dove era stato recluso per aver partecipato a una rapina; accusa dalla quale poi è stato assolto. Secondo quanto riferito inizialmente dalla donna, quindi, nel presunto rapimento ci poteva essere lo “zampino” del reale complice di quella rapina. Una spiegazione ben congegnata. Tuttavia, nel momento in cui i carabinieri lunedì sera hanno accompagnato la giovane a casa e stavano per varcare l’uscio per perquisirla, Martina è crollata e ha confessato; forse immaginando che i militari avrebbero trovato le tracce del delitto. Queste bugie, ora, le costeranno l’ulteriore accusa di simulazione di reato.
 

 

 

PRIMA NOTTE IN CELLA
 In isolamento in una cella dell’istituto femminile di Catania, controllata a vista 24 ore al giorno per evitare che possa commettere gesti estremi: ha passata così la prima notte in carcere, in attesa dell’interrogatorio con il giudice per la convalida del fermo (previsto per domani). Sempre domani sarà conferito l’incarico per eseguire l’autopsia sul corpo di Elena. Il movente del delitto potrebbe essere la gelosia di Martina per l’attuale compagna dell’ex convivente e per l’affetto che la bambina mostrava nei confronti di quest’ultima. 
«Ha agito come se non fosse lei - ha spiegato l’avvocato Gabriele Celesti - come se avesse avuto una forza sovrannaturale alla quale non ha potuto resistere e non c’è stato un pensiero che l’ha potuta frenare. Era come annebbiata». Il penalista ricostruisce le fasi che hanno portato all’ammissione della colpa da parte della 23enne: «È stato un interrogatorio drammatico, è una donna che sta prendendo consapevolezza del fatto». In un primo momento era fredda e distaccata, ma poi ha avuto un cedimento e ha pianto.
«Lunedì alle 13 - ricorda commossa Veronica Piazza, la responsabile della scuola materna di Tremestieri Etneo - Martina è venuta a prendere la bambina e noi l’abbiamo affidata alle mani più sicure, con quell’abbraccio che dimostra l’amore che la piccola aveva per la madre. Noi vedevamo una famiglia attenta e premurosa». 

 

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