Covid, l'odissea di Marco: dimesso dopo 115 giorni e 28 tamponi

Covid, finita l'odissea di Marco, dimesso dall'ospedale dopo 115 giorni e 28 tamponi
Covid, finita l'odissea di Marco, dimesso dall'ospedale dopo 115 giorni e 28 tamponi
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Venerdì 21 Agosto 2020, 17:26 - Ultimo aggiornamento: 18:07

Lui non le ha sentite, ma quando Marco Carrara ha abbracciato sua moglie Simona e i due figli, Matteo e Gianluca, le campane della chiesa di Albino, una dei paesi del Bergamasco più colpiti dal Coronavirus, hanno suonato a festa. Ed è stato proprio una festa il suo ritorno a casa, dopo un'odissea iniziata il 31 marzo quando è stato ricoverato per Covid, la stessa malattia che pochi giorni prima aveva ucciso suo papà Valerio. Ci sono voluti 115 giorni in ospedale e 28 tamponi per tornare libero, ma alla fine ce l'ha fatta.

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Una storia difficile ma a lieto fine, a differenza di quella di Javier Chunga, infermiere di 59 anni di origini peruviane morto ieri al San Gerardo di Monza, dopo tre mesi in rianimazione. Javier, di origini peruviane, lavorava da anni nel reparto di terapia intensiva dell' ospedale Valduce, dove ha curato i pazienti di Coronavirus nel momento più difficile dell'epidemia. Poi a maggio ha iniziato a sentirsi male, è stato ricoverato per una ventina di giorni nel suo ospedale prima del trasferimento alla terapia intensiva del San Gerardo. «Uno dei nostri - ha spiegato alla Provincia di Como Mario Guidotti, primario di neurologia del Valduce - che si è battuto in prima linea».

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Era un «angelo custode in camice bianco» per usare l'espressione con cui Marco ha definito medici e infermieri in una lettera che aveva scritto all'Eco di Bergamo quando era a tre quarti del suo percorso. Uno sfogo, per lui che - reduce da un trapianto di midollo osseo che già lo aveva costretto a stare lontano da tante persone - si è visto portare via il papà da un giorno all'altro. Ma anche un messaggio di «fiducia» nonostante le sue peripezie. Dopo un mese e mezzo all' ospedale Giovanni XXIII, Marco è passato alla clinica San Francesco, poi dopo un mese, quando le sue condizioni sono peggiorate di nuovo, è tornato al Giovanni XXIII. L'8 giugno ha iniziato la riabilitazione alla Fondazione Piccinelli di Scanzorosciate, sempre in provincia di Bergamo. Nel frattempo sono arrivati messaggi e telefonate, dal premier Giuseppe Conte al vicario generale del Papa, il cardinale Angelo Comastri. Il 24 luglio è stato dimesso ma «non potevo tornare a casa - racconta lui stesso - perché i tamponi erano ancora positivi. Così mi sono messo in quarantena nell'appartamento di mio padre, con i miei ci guardavano dal terrazzo ma niente di più». Insomma nessun contatto con la moglie e i due figli. Solo ieri si sono potuti riabbracciare, alle 14, mentre le campane del paese suonavano a festa per il suo ritorno.
 

 

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