Vittorio Sgarbi: «Notre-Dame non era un tesoro architettonico. Mica come i capolavori italiani»

Vittorio Sgarbi: «Notre-Dame non era un tesoro architettonico. Mica come i capolavori italiani»
di Valeria Arnaldi
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Mercoledì 17 Aprile 2019, 05:01 - Ultimo aggiornamento: 13:12

Vittorio Sgarbi, tutto il mondo piange per Notre-Dame: una reazione dovuta o eccessiva?
«Eccessiva. È paradossale che un'impalcatura montata per il restauro della guglia ne abbia provocato il crollo, ma bisogna ricordare che quella guglia fino al 1870 non c'era, è stata una teatrale ricostruzione e come è stata ricostruita all'epoca sarà ricostruita nel nuovo millennio. Tra cinque o sei anni la vedremo nuovamente, peraltro grazie alla generosità di Arnault e Pinault, le cifre già stanziate sono superiori a quelle necessarie».

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Nessuna perdita di rilievo dunque?
«Macron ha detto che l'edificio è salvo. La storia di Notre Dame non è quella di uno dei grandi monumenti della storia dell'arte, ma quella di uno spazio molto spirituale che uno ha visitato e di cui ha sentito l'aura, è quella che si rimpiange. Non c'erano cose degne di Michelangelo o Raffaello. E il Guido Reni pare salvo. Si tratta di rifare il tetto e interventi di questo tipo in Italia li abbiamo già sperimentati, sono stati inevitabili».
Un esempio?
«La cattedrale di Noto, dove la situazione è stata ben più grave. Il restauro però è stato migliorativo. La soluzione finale, cui ho partecipato, ha dato piena soddisfazione. Nessuno rimpiange il crollo, si festeggia la ricostruzione. È il significato spirituale di questa cosa. L'edificio è stato ferito ma resiste».
 

 


L'incendio è stato paragonato all'11 settembre e Notre Dame perfino alla Cappella Sistina.
«Sono scemenze, sia in termine di valore storico, sia per l'abbattimento. Non si è trattato di terrorismo, non c'è stata alcuna violenza simbolica, si è determinato un corto circuito. Anche l'architettura di un grande può essere vittima di un incendio ma può essere ricostruita con i disegni originali, qui non c'è neppure un grande nome, si tratta di un'architettura iniziata nel 200 e largamente alterata nei secoli. Ciò non toglie nulla al valore simbolico, ma esclude che si possa provare dolore. Non si tratta di un Caravaggio, di un Masaccio, di un Piero della Francesca perso, non è accaduto nulla di tutto ciò. Si tratta di una struttura ottocentesca, quindi abbastanza vicina alle nostre».
Bisognerebbe almeno prendere spunto per riflettere tecnicamente sulle impalcature destinate a monumenti storici?
«Ciò che è accaduto non era prevedibile. Nessuno aveva mai pensato al corto circuito legato a un'impalcatura. Forse si è stati leggeri per consuetudine. Io, appena ho visto quello che stava accadendo, ho pensato a un problema legato al restauro. Certo, la lezione qui potrebbe essere proprio nello spunto per ripensare ai sistemi delle impalcature».

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