Viaggi extra Ue, il grido di dolore di cento tour operator: «Stiamo morendo»

Viaggi extra Ue, il grido di dolore di cento tour operator: «Stiamo morendo»
Viaggi extra Ue, il grido di dolore di cento tour operator: «Stiamo morendo»
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Martedì 27 Luglio 2021, 15:59

La pandemia di coronavirus ha messo in ginocchio, tra gli altri, in particolare il settore del turismo. Un anno e mezzo di restrizioni hanno davvero mandato in difficoltà tutto l'indotto, dagli hotel alle compagnie aeree, e la situazione non sembra poter migliorare nei prossimi mesi, specie per i viaggi fuori dall'Europa: e un grido di allarme viene da un gruppo di oltre cento tour operator italiani, specializzati proprio in turismo extra UE, che si sono uniti per condurre una serie di iniziative e dare voce ad un comparto ancora più ampio e profondamente in crisi

«I viaggi per turismo verso destinazioni extra UE non verranno aperti nell’immediato - si legge in una nota ufficiale congiunta - Se tutto va bene, se ne riparlerà in autunno ma la sensazione è che si vada avanti fino alla fine dell’anno, vista l’incidenza della variante Delta che incute timore e getta un’ulteriore ombra sul settore. E non solo». Gli operatori puntano il dito e cercano di farsi ascoltare dal governo: il turismo, affermano,  «è ripartito sul territorio nazionale per determinate località e realtà. Sono ripartite le prenotazioni su Airbnb o Booking che, teniamolo bene a mente, sono gruppi che pagano le tasse all’estero e NON in Italia, quindi al nostro Paese lasciano nulla!».

«Sicuramente alcune strutture ricettive italiane, i ristoranti o i locali all’aperto sono tornati al lavoro e molti di loro sono sold-out per la prossima estate ma questo NON significa che il turismo si sia ripreso – spiega Alessandro Simonetti, titolare di World Explorer e tra i numerosi nomi del gruppo – Il comparto turistico riprenderà seriamente a fatturare quando torneranno i viaggi organizzati e intermediati, non certo a fronte del il fai-da-te attuale. Sono 16 mesi, dall’11 marzo 2020 precisamente, che non lavoriamo e non facciamo una pratica. Ed è bene spiegarla chiaramente questa cosa».

«Chi va fuori dall'UE lo fa violando la legge attuale»

«Chi sta andando alle Maldive, in Messico o ai Caraibi lo sta facendo contravvenendo alle disposizioni ministeriali, rischiando di proprio e assolutamente fuori dalla normativa attuale - spiega ancora il gruppo di decine e decine di tour operator - I viaggi consentiti sono solo quelli realizzati in ambito UE, verso gli Stati parte dell’accordo di Schengen, Regno Unito e Irlanda del Nord, poi, ancora, Andorra e Principato di Monaco e Israele. A questi, uniamo un numero di Paesi di Fascia D: Ruanda, Repubblica di Corea, Giappone, Singapore, Thailandia Canada, Stati Uniti d’America Australia, Nuova Zelanda, fermo restando che gran parte di questi sono tutt’ora chiusi ai flussi turistici, vedi Australia o USA».

«Chi parte per turismo verso mete lungo raggio, lo fa eludendo la legge, contando sulle maglie molto larghe e spesso inesistenti dei controlli aeroportuali», spiega il comunicato. «Ma si tratta di rischi che gli operatori NON possono e NON vogliono prendersi. “Stiamo rifiutando pratiche importanti proprio per attenerci alle disposizioni che vengono dal ministero della Salute e dell’Interno ma adesso siamo arrivati alla fine”, conferma Simonetti.

Parliamo di realtà con giri di affari che vanno dal milione ai 10 milioni di euro l’anno in epoca pre-Covid, non piccole ma, comunque, non abbastanza grandi da sostenere ancora per molto questo scossone. E che oggi, se proprio non è possibile avere un calendario oppure delle disposizioni che regolino la riapertura delle frontiere, vorrebbero quantomeno che il governo italiano si allineasse agli altri Paesi europei in materia di viaggi fuori UE».

Insafari: «Presto ci chiederanno rimborsi, nuovi fondi subito»

«Permanendo il divieto di uscire per turismo dall’Unione Europea, i nostri clienti difficilmente potranno utilizzare i voucher entro la data di scadenza, pertanto – prosegue Emanuela Paoletti, di Insafari, – entro pochi mesi dovremo iniziare a rimborsarli, pur senza avere ricevuto risarcimenti dai fornitori locali. Con quanto ottenuto dalle prime recovery abbiamo sin qui garantito la sopravvivenza delle nostre aziende. Chi di noi è riuscito ad avanzare qualcosa lo dovrà utilizzare per iniziare a risarcire i clienti. Ormai, è da più di un anno che non percepiamo uno stipendio e abbiamo dovuto tenere a casa i nostri staff. Non possiamo continuare così».

«Quindi, alla luce del fatto che ormai è chiara la posizione del Governo in merito alle frontiere che non saranno riaperte a breve, chiediamo a gran voce e con fermezza che vengano stanziati per il settore nuovi fondi a sostegno della categoria perché si possa continuare a vivere - aggiunge ancora Paoletti - Chi si sta unendo al nostro gruppo di operatori è portavoce di centinaia di altre realtà simili alla nostra, che non lavorano ormai da 16 mesi e che si trovano sull’orlo dell’abisso, anche perché in tanti non hanno ancora ricevuto i fondi relativi al febbraio-luglio 2020. Premetto, noi vogliamo tornare a lavorare e non avere aiuti in eterno. Ma, visto che NON possiamo ancora farlo, non ci resta che chiedere aiuto perché a rischio ci sono migliaia di posti di lavoro di un comparto che NON è assolutamente ripartito! Cerchiamo di essere chiari e onesti su questo punto!».

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