Ucraina, Davide Possanzini bloccato a Kiev con De Zerbi: «L'ambasciata voleva farci rientrare, ma noi siamo rimasti con i nostri giocatori»

Il vice allenatore dello Shaktar racconta il risveglio sotto le bombe. "Io e De Zerbi non potevamo lasciare da soli i nostri ragazzi, siamo gente seria".

Ucraina, Davide Possanzini bloccato a Kiev con De Zerbi: «L'ambasciata voleva farci rientrare, ma noi siamo rimasti con i nostri giocatori»
Ucraina, Davide Possanzini bloccato a Kiev con De Zerbi: «L'ambasciata voleva farci rientrare, ma noi siamo rimasti con i nostri giocatori»
di Luca Uccello
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Giovedì 24 Febbraio 2022, 14:19 - Ultimo aggiornamento: 18:48

«Alla prima esplosione la gente si è riversata per strada, è salita in macchina, per cercare una fuga e scappare da Kiev». Il racconto di Davide Possanzini è da brividi e per una volta restituisce al calcio una immagine di normalità e non più di mondo intoccabile e inattaccabile.

Lui, Possanzini ha un passato da attaccante di valore tra serie A e serie B e un presente da allenatore, al fianco di Roberto De Zerbi. Andare all’estero, in Ucraina è stata una scelta di vita, allenare lo Shakhtar Donestk una grande possibilità. E ora, incredibilmente, la guerra a fermare tutto.


«Le nostre famiglie sono lontane e sono preoccupate per noi.

Hanno paura. Ma devono stare tranquille, noi stiamo bene, abbiamo paura ma stiamo bene. Siamo chiusi in un albergo vicino all’ambasciata e aspettiamo che ci dicano cosa fare, come poter rientrare in Italia». 


Un risveglio terribile questa mattina a Kiev, la città dove lo Shakhtar gioca le sfide casalinghe del campionato russo. «Sembrava di essere in un film. Uno di quelli che guardi al cinema e invece era tutto vero. Stava accadendo davvero. Poco prima delle 5 del mattino abbiamo sentito le prime esplosioni che ci hanno buttato giù dal letto. Abbiamo subito fatto le valigie, abbiamo lasciato gli appartamenti dove viviamo quando siamo a Kiev e ci siamo messi in macchina e abbiamo raggiunto l’albergo che la società ucraina ci ha messo a disposizione».


Dal 27esimo piano del suo palazzo Davide non poteva credere ai suoi occhi: «Una fila infinita di macchine, tutte che volevano andare in un’unica direzione, il più lontano possibile da Kiev e dai bombardamenti imminenti».


Un racconto da brividi. De Zerbi e il suo staff, composto da altri nove italiani, poteva tornare a casa prima, in Italia nei giorni scorsi; l’Ambasciata si era mossa per poterli fare rientrare in tempo ma “Noi siamo persone serie, persone che avevano preso degli accordi, anche morali. La nostra squadra è formata anche da dei ragazzi di 18 anni che vengono dal Brasile, è composta da 13 ucraini: con che faccia potevamo andare via? Siamo rimasti per questo e non ci pentiamo di niente. Ora aspettiamo comunicazioni per cercare di prendere la decisione giusta senza correre rischi”. 


Andrete via in auto? Andare via in macchina? E la benzina? Qui è finita. Il confine con la Polonia è distante 700 km troppo. Aspettiamo con fiducia che l’Ambasciata italiana ci faccia tornare a casa, dalle nostre famiglia. Qui non possiamo fare più nulla”.

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