Silvia Romano, Al Shabaab: «Col riscatto compreremo armi per la jihad, cibo e medicine»

Silvia Romano, Al Shabaab: «Col riscatto compreremo cibo e medicine. Si è convertita perché ha visto un mondo migliore»
Silvia Romano, Al Shabaab: «Col riscatto compreremo cibo e medicine. Si è convertita perché ha visto un mondo migliore»
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Martedì 12 Maggio 2020, 10:59 - Ultimo aggiornamento: 14:57

Dopo la liberazione di Silvia Romano sono esplose le polemiche sulla sua conversione all'Islam e sul riscatto pagato per liberarla. Ad entrambe le domande ha risposto, in un'intervista al quotidiano Repubblica, il portavoce del gruppo terroristico Al Shabaab Ali Dehere, che ha fornito il suo punto di vista sul rapimento di Silvia, pur rifiutandosi di rivelare la cifra del riscatto pagato: parte dello stesso, ha detto Dehere, servirà a comprare armi per la jihad.

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I soldi «serviranno in parte ad acquistare armi, di cui abbiamo sempre più bisogno per portare avanti la jihad, la nostra guerra santa - dice - Il resto servirà a gestire il Paese: a pagare le scuole, a comprare il cibo e le medicine che distribuiamo al nostro popolo, a formare i poliziotti che mantengono l'ordine e fanno rispettare le leggi del Corano». Sono «decine», afferma, le persone che hanno partecipato al rapimento di Silvia Romano, ma il sequestro - sostiene - non è stato organizzato dai vertici dell'organizzazione. «C'è una struttura in seno ad Al Shabaab che si occupa di trovare soldi per far funzionare l'organizzazione, la quale poi li ridistribuisce al popolo somalo - dichiara - È questa struttura che gestisce le diverse fonti d'introiti».

 

 


"CONVERTITA PERCHE' HA VISTO UN MONDO MIGLIORE" Silvia Romano si è convertita durante il sequestro «perché ha sicuramente visto con i suoi occhi un mondo migliore di quello che conosceva in precedenza», ha detto Dehere. «Non mi risulta che sia sempre stata segregata». E aggiunge: «Da quanto mi risulta Silvia Romano ha scelto l'Islam perché ha capito il valore della nostra religione dopo aver letto il Corano e pregato». «Perché mai avremmo dovuto maltrattarla? Silvia Romano - dice, senza usare il nome da convertita all'Islam, Aisha - rappresentava per noi una preziosa merce di scambio. E poi è una donna, e noi di Al Shabaab nutriamo un grande rispetto per le donne».

Tanti nascondigli cambiati durante il sequestro. «Siamo in guerra e i droni americani e l'artiglieria pesante keniana non bombardano soltanto le nostre postazioni militari ma anche i nostri i villaggi e le nostre città, provocando un gran numero di vittime civili. Ogni ostaggio è un bene prezioso - afferma - quindi appena c'era il minimo rischio che la zona dove tenevamo nascosta Silvia Romano era diventata un possibile bersaglio per i nostri nemici, sceglievamo un altro nascondiglio».

"TRATTATA BENE PERCHE' ERA UN OSTAGGIO" «Abbiamo fatto di tutto per non farla soffrire anche perché Silvia Romano era un ostaggio, non una prigioniera di guerra», ha aggiunto il portavoce. La differenza, afferma, sta nel fatto che «i prigionieri di guerra li passiamo per le armi, esattamente come fa l'esercito somalo quando cattura un soldato di Al Shabaab». Secondo Ali Dehere, «prima di giustiziare i prigionieri, le truppe di Mogadiscio li torturano per farli parlare», ma «i nostri soldati sono addestrati anche a soffrire, perciò molti muoiono sotto tortura senza rivelare nulla». «Noi invece non dobbiamo torturare nessuno, perché - sostiene - sappiamo tutto, avendo a Mogadiscio infiltrato i nostri uomini in ogni istituzione, ministero, partito politico e perfino nell'esercito somalo».

"NESSUNO CI CERCA IN SOMALIA" «Nessuno viene a cercarci sul territorio. Non vengono né i soldati dell'Uganda e del Burundi dell'Amison (la Missione dell'Unione Africana in Somalia) né vengono le truppe somale che sono male armate e sotto pagate. Tutti credono di controllarci, quando in realtà siamo noi che li assediamo».«Finora siamo sempre stati etichettati come 'terroristì. Mi pare una definizione riduttiva per Al Shabaab - afferma - Controlliamo gran parte del Paese, soprattutto nelle aeree rurali. Ma siamo presenti anche nelle periferie delle città. Eppure non siamo riconosciuti dalla comunità internazionale, forse perché vogliamo che la Sharia sia legge anche a Mogadiscio e perché chiediamo che le truppe dell'Amison lascino il Paese». Tra i principali nemici, Ali Dehere indica «la classe politica corrotta che governa la capitale e che senza la massiccia presenza delle truppe straniere e senza i generosi aiuti degli Stati Uniti spazzeremmo via in due giorni». «Diamo anche la caccia a tutti i traditori della jihad - afferma - che sono quei vigliacchi che per paura rinunciano a combattere». 

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