Ricerca Eurispes sulle scarpe Made in Italy. Crisi del settore, necessaria la protezione del brand italiano

Ricerca Eurispes sulle scarpe Made in Italy. Crisi del settore, necessaria la protezione del brand italiano
di Paolo Travisi
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Giovedì 5 Dicembre 2019, 09:00
Il settore calzaturiero italiano è un pilastro della nostra economia. E le scarpe made in Italy camminano nel mondo, considerando che l’Italia è il primo paese europeo per produzione. Nella vecchia Europa, infatti, un paio di scarpe su tre è italiano. Ed a livello mondiale siamo al terzo posto per volumi di esportazione, preceduti solo dal colosso cinese e dal Vietnam, dove i costi di produzione sono molto più bassi. A confermare il valore economico di questo settore, sono i numeri diffusi dallo studio Eurispes, Strategie di difesa attiva del Made in Italy calzaturiero, curato da Alberto Mattiacci, docente di economia d’impresa a La Sapienza di Roma: nel 2018 sono stati prodotti 184 milioni di scarpe, nei 4.500 calzaturifici che danno lavoro a 75.600 persone.

Le regioni a maggior vocazione calzaturiera sono otto: Veneto, Toscana, Lombardia, Marche, Emilia Romagna, Puglia, Piemonte, Campania. Ma sono le Marche, a fare la parte del leone, con il distretto di Fermo e Macerata dove si concentrano un terzo di tutte le aziende italiane. Nonostante l’export, i produttori italiani di scarpe sono in sofferenza, tanto che negli ultimi 20 anni, la crisi economica e per certi versi strutturale del settore, ha dimezzato le imprese calzaturiere e ridotto la forza lavoro del 38%.  Nelle Marche, dal 2009 al 2019, gli effetti della crisi si sono concretizzati con un processo degenerativo che ha prodotto una diminuzione delle imprese calzaturiere del 21%.
 
Secondo la dettagliata indagine condotta da Eurispes, sono riconducibili a quattro, i problemi principali percepiti dagli imprenditori marchigiani: un rapporto difficile con il sistema fiscale, la forte concorrenza internazionale, legata soprattutto al minore costo del lavoro, la concorrenza interna da parte di produttori collocati soprattutto nei distretti del Sud Italia (percepita come sleale) e la difficoltà di accesso al credito. “Le crisi economiche vanno e vengono, ma bisogna guardare il fenomeno anche da un’altra dimensione” sostiene Mattiacci, direttore scientifico dello studio Eurispes, “con la rivoluzione tecnologica ed internet sono cambiati i flussi mondiali dell’economia, che sta diventando sempre più finanziaria. Il settore vive una crisi strutturale che ha molte cause, non c’è una bacchetta magica per risolvere il problema. Certamente rispetto al passato ci sono meno aiuti pubblici, i produttori nel mondo sono moltissimi, con la globalizzazione è aumentata la competizione e un paese con economia avanzata come l’Italia ha dei costi di produzione superiori. Ma la qualità media della manifattura è elevatissima, quindi i prodotti non sono cari, ma costosi, che significa migliore di altri”.

Infatti il Made in Italy, non è solo un brand riconosciuto all’estero, ma anche tra gli italiani intervistati da Eurispes, più di otto su dieci (82%) è disposto a pagare un prezzo abbastanza o poco superiore per le scarpe  italiane, rispetto ad un prodotto privo di tale indicazione. “Il made in Italy è un bene comune ma senza una legislazione chiara, il bene comune diventa di tutti”, e perde il valore economico, ma anche sociale. “Quello che ci salverà è l’identità, e nella manifattura il made in italy è un fattore d’identità” sottolinea ancora Mattiacci, che tra le possibili soluzioni per superare la crisi settoriale, suggerisce una “strategia a mosaico, dove l’immagine è composta da tanti pezzi, in cui uno da solo non significa nulla, come i provvedimenti che da soli non risolvono nulla”. C’è necessità di un insieme di misure: formare gli imprenditori per abituarli al cambiamento di mentalità, puntare sul marketing territoriale e lo storytelling (raccontare le idee) e “dare una nuova visione del lavoro nel settore, fare in modo che per i giovani sia sexy l’idea di lavorare nel calzaturiero".

E tornando al Made in Italy, è di fondamentale importanza, che la tutela sia garantita e legiferata dall'Unione Europea. "Ci sono 27 stati autonomi, e come in un condominio bisogna accettare dei compromessi per ottenere qualcosa, ognuno dei paesi ha il diritto di riconoscere il proprio made in. A noi italiani conviene che sia riconosciuto - aggiunge Mattiacci - per farlo bisogna procedere sul piano politico in Europa e su quello territoriale, con un accordo volontario tra i produttori di scarpe".
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