"Yara non ha avuto giustizia, io sono dietro le sbarre ma non sono il colpevole". Per chi è in carcere come Massimo Bossetti ogni giorno è uguale a un altro, ma per qualcuno ha un sapore più amaro. Sono trascorsi dieci anni dal 26 novembre 2010 quando di Yara Gambirasio, giovane ginnasta 13enne di Brembate (Bergamo), si perdono le tracce. "Io non voglio uscire per un cavillo, voglio uscire perché la perizia sul Dna dimostra che non sono un assassino", sono le parole che dalla cella di Bollate affida attraverso il suo avvocato Claudio Salvagni all'Adnkronos.
"Sono innocente" sono le parole che Bossetti ripete contro un mantra.
"Contro di me c'è un Dna strampalato, sto ancora aspettando le prove vere" dice Bossetti, 'gelato' dal dietrofront della Corte d'assise di Bergamo che prima ha consentito e poi negato la possibilità al pool difensivo di visionare i reperti, tra cui gli abiti della vittima e la traccia genetica considerata la 'firma' dell'assassino. Il prossimo gennaio la Cassazione si pronuncerà sul ricorso presentato dagli avvocati Salvagni e Paolo Camporini, in caso di accoglimento per la prima volta si potrebbe lavorare alla revisione del processo. Quel giorno, dovesse arrivare, non sarebbe uguale agli altri per Massimo Bossetti.