Non c’erano le microtelecamere, nel 1981. Non lo abbiamo visto, il piccolo Alfredino (foto, sotto, a destra di Ryan), rannicchiato nella sua prigione a 60 metri di profondità, non abbiamo visto i suoi occhi sgranati dalla paura, le labbra schiudersi e gridare «Mamma». Noi stavamo - e soffrivamo - in superficie, con la mamma, con Pertini, con Angelo Licheri che in quel pozzo artesiano si era calato invano. Non abbiamo visto quello che ora tutto il Marocco sta guardando in una diretta senza interruzioni, da una quantità di ore che ieri sera erano già 50, in tv e su tutte le piattaforme on line del Paese, con un’angoscia crescente, la stessa che fu la nostra, affacciati sul pozzo di Vermicino.
Vermicino 40 anni dopo: quel pozzo sepolto come la memoria di Alfredino Rampi
Piero Badaloni condusse quasi per intero - 36 ore - la diretta Rai sulla tragedia
Perché 41 anni dopo la storia si ripete, uguale.
Gli speleologi marocchini hanno tentato di calarsi nel pozzo, come fece Licheri, l’angelo di Alfredino, ma non c’è stato modo per un adulto di scendere dove a malapena è passato un bimbo: sul fondo il pozzo si chiude fino a venti centimetri di diametro. Stanno scavando il fianco della montagna, alla luce delle fotoelettriche, con cinque ruspe, nel tentativo di aprirsi un varco, come avevamo provato noi nel 1981, arrivando però troppo tardi. Nel tardo pomeriggio di ieri gli escavatori sono arrivati a una decina di metri dal bambino. «Siamo vicini», dicevano i soccorritori. Il momento più delicato, perché basta uno smottamento a chiudere la vicenda nel peggiore dei modi. Come a Vermicino.