Diciassette anni si riparte da lì. Da quell’anonima stanza del residence Le Rose di Rimini dove Marco Pantani, uno degli sportivi più amati dagli italiani, morì in solitudine. Il 14 febbraio del 2004, la notte di San Valentino, il Pirata se ne va - dirà l’autopsia - per edema polmonare e cerebrale, conseguente ad un’overdose di cocaina e psicofarmaci. Eppure ci sono zone oscure, dietro quella morte, se 17 anni dopo la procura di Rimini decide di riaprire per la terza volta l’inchiesta.
L’ultima era finita con un’archiviazione, nel 2016: l’ipotesi di un assassinio del grande ciclista romagnolo era stata definita «fantasiosa e senza fondamento».
Le nuove indagini si concentrerebbero in particolare sulle ultime ore di Pantani, tralasciando invece altri elementi scandagliati in passato, come l’ipotesi che la scena del crimine sia stata inquinata o che le indagini successive al decesso siano state incomplete, circostanze evidenziate da precedenti esposti dei familiari. La madre di Marco, Tonia Bellettini, ha chiesto di essere convocata in procura, e il pm Luca Bertuzzi l’ha ascoltata per due ore. «Vuole capire una volta per tutte se il figlio è morto per un mix di antidepressivi con la cocaina, oppure se ci sono altri motivi», dice il nuovo avvocato della famiglia, Fiorenzo Alessi, che con il figlio Alberto sta affiancando il lavoro degli inquirenti con ulteriori indagini.