Mafia, il pentito Giovanni Brusca resta in carcere e non andrà ai domiciliari

Mafia, Brusca chiede i domiciliari: no dal pg Cassazione. L'ira di una vedova della scorta: «Il nostro dolore non conta niente»
Mafia, Brusca chiede i domiciliari: no dal pg Cassazione. L'ira di una vedova della scorta: «Il nostro dolore non conta niente»
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Lunedì 7 Ottobre 2019, 13:13 - Ultimo aggiornamento: 23:09
Il pentito Giovanni Brusca resta in carcere e non andrà ai domiciliari come chiesto dai suoi legali. Il ricorso è stato rigettato in esito alla udienza camerale di oggi. É stato proposto dal difensore avverso ordinanza del 12 marzo 2019 del Tribunale di sorveglianza di Roma di rigetto della richiesta di detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 16-nonies d.l. n. 8/91, e successive modifiche.

Condannato per la strage di Capaci, nel suo passato c'è anche un bambino sciolto nell'acido: Giovanni Brusca, boss mafioso, ha chiesto gli arresti domiciliari in un ricorso in Cassazione la cui udienza era in programma questa mattina. L'udienza era a porte chiuse, senza la presenza dei difensori che hanno mandato memorie scritte, e il verdetto si saprà domani: la notizia è stata anticipata dal Corriere della Sera.

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Brusca è colui che, secondo le sentenze, innescò l'esplosione che fece saltare l'autostrada di Capaci e uccise Giovanni Falcone. L'ex boss ha fatto ricorso in Cassazione contro l'ordinanza del tribunale di sorveglianza di Roma che lo scorso 12 marzo ha respinto la sua domanda di ottenere la detenzione domiciliare. È difeso dagli avvocati Antonella Cassandro e Manfredo Fiormonti.

NO AI DOMICILIARI Niente domiciliari per Giovanni Brusca: è il parere espresso dalla Procura generale della Cassazione nella requisitoria scritta con la quale contrasta la richiesta della difesa dell'ex boss, condannato per la strage di Capaci e altri gravi delitti, di ottenere gli arresti domiciliari in località protetta. Lo si apprende da fonti giudiziarie. Il verdetto degli 'ermellini' è previsto per domani. Brusca è in carcere a Rebibbia. 



SALVINI: DISUMANO «Un assassino, il killer della strage di Capaci, un mafioso libero di tornare a casa? Ma stiamo scherzando?
», ha commentato Matteo Salvini in un video su Facebook. «In galera fino alla fine dei suoi giorni, non facciamo rivoltare nelle loro povere tombe i troppi morti per mano della mafia. Fare uscire Brusca dal carcere sarebbe disumano. Chi toglie una persona al padre, alla madre, alla moglie, ai figli, merita di tornare a casa? No. In galera fino all'ultimo giorno, lavorando». 

VEDOVA SCORTA: IL NOSTRO DOLORE NON CONTA NIENTE «Sa qual è la verità? Che il nostro dolore non conta niente. Dicono che uno che ha ammazzato duecento persone e che ha sciolto un bimbo nell'acido si è ravveduto e che potrebbe andare tranquillamente ai domiciliari, quindi quanto vuole che conti il parere dei familiari delle vittime?». Tina Montinaro è molto arrabbiata. Ma anche delusa. E amareggiata. La notizia la amareggia.

I legali hanno ottenuto anche il parere favorevole della Procura nazionale antimafia secondo cui «sono stati acquisiti elementi rilevanti ai fini del ravvedimento di Brusca». «Che ne parliamo a fare? - dice la vedova Montinaro in una intervista concessa all'Adnkronos - Tanto ormai hanno deciso che tra un anno e mezzo Brusca sarà fuori, sarà un libero cittadino che ha scontato la sua pena. Per quanto ci possiamo lamentare, la nostra parola, il nostro dolore non contano niente. Perché lui è un collaboratore di giustizia e dicono che si è ravveduto. Uno che ha sulla coscienza 200 persone, compreso un bambino che prima è stato strangolato e poi sciolto nell'acido. Mi pare tutto ridicolo, sono sincera».

Tina Montinaro, funzionario direttivo dell'amministrazione regionale dal 1997, l'anno scorso, a ventisei anni dalla strage di Capaci in cui perse la vita il marito Antonio, capo scorta di Giovanni Falcone, è entrata in polizia occupandosi per conto del ministero dell'Interno, di «mantenere costante la memoria dei caduti di Polizia nei settori più attivi della società civile, tra cui scuola, sport, giovani ed associazionismo».
«Davanti a una decisione del genere io non so cosa dire - aggiunge Tina Montinaro - Io spero solo che chi prende questa decisione sia lì a passarsi una manco sulla coscienza, ricordandosi di tutti i morti di Palermo. Poi, mi possono fare anche attaccare ma sicuramente non interesserà niente a nessuno, se loro hanno deciso determinate cose non badano a quello che io o altri familiari abbiamo da dire. Noi siamo quelli delle commemorazioni, punto a basta».

«Dicono che Giovanni Brusca li ha aiutati, non so ancora perché hanno fatto la strage perché abbiamo dovuto aspettare che certi documenti vengano desecretati e avevamo tutti questi pentiti. Insomma, sono sincera, ci sentiamo presi in giro. Parto sempre dal principio, che forse abbiamo perso tempo nei processi a fare determinate cose, a crederci, perché arrivati a questo punto, come dicono a Palermo 'Agneddu e sucu e finiu u vattiù», un modo di dire palermitano per intendere che ormai la decisione è presa e non c'è più niente da fare.

Sul presunto ravvedimento di Brusca, di cui parla anche la Superprocura antimafia, Tina Montinaro dice: «Beh, finora Brusca non ha avuto la possibilità di uccidere qualcun altro perché in galera...».
E aggiunge: «Non le capisco davvero certe cose, fanno solo rabbia e fanno male. E non parlo a nome mio, non è che questo individuo ha ucciso solo mio marito. Ha fatto le cose più atroci, basta pensare al piccolo Giuseppe Di Matteo. Mi chiedo allora, ma loro ci pensano al mio dolore? E al dolore di tutti gli altri? Io sono una donna delle istituzioni, mio marito era un uomo dello Stato e io continuerò a crederci. Voglio cambiare le cose. Ecco perché sto sempre insieme ai bambini, ma ci sono tante cose che a me non piacciono...». E mentre lo dice, Tina Montinaro si trova proprio in una scuola di periferia di Palermo per parlare con i bambini.  


SORELLA FALCONE: NON MERITA BENEFICI «Fermo restando l'assoluto rispetto per le decisioni che prenderà la Cassazione, voglio ricordare che i magistrati si sono già espressi negativamente due volte sulla richiesta di domiciliari presentata dai legali di Giovanni Brusca. Il tribunale di sorveglianza di Roma, solo ad aprile scorso, negandogli la scarcerazione, ha avanzato pesantissimi dubbi sul suo reale ravvedimento». Lo sottolinea Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone e presidente della Fondazione che porta il nome del magistrato assassinato dalla mafia. «Mi limito a citare la motivazione del provvedimento - aggiunge la sorella del magistrato - in cui il tribunale, testualmente, ha scritto che non si ravvisava in Brusca 'un mutamento profondo e sensibile della personalità tale da indurre un diverso modo di sentire e agire in armonia con i principi accolti dal consorzio civile'».

«Ricordo ancora - osserva Maria Falcone - che Giovanni Brusca proprio grazie alla collaborazione con la giustizia ha potuto beneficiare di premialità importanti: oltre a evitare l'ergastolo per le decine di omicidi che ha commesso - tra questi cito solo quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell'acido a 15 anni- ha usufruito di 80 permessi. Il suo passato criminale, l'efferatezza e la spietatezza delle sue condotte e il controverso percorso nel collaborare con la giustizia che ha avuto luci e ombre, come è stato sottolineato nel tempo da più autorità giudiziarie, - conclude - lo rendono un personaggio ancora ambiguo e non meritevole di ulteriori benefici».
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