Covid, verso un nuovo green pass. Di Maio: «Valutiamo lockdown solo per non vaccinati». Anticipo terze dosi per gli over 40

Covid, verso un nuovo green pass. Di Maio: «Valutiamo lockdown solo per non vaccinati». Anticipo terze dosi per gli over 40
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Giovedì 18 Novembre 2021, 21:29 - Ultimo aggiornamento: 19 Novembre, 07:52

Rivedere le regole a partire da quelle sul green pass, con misure più severe (lockdown) per i non vaccinati, e spingere sulla terza dose il più rapidamente possibile: le Regioni insistono sulla necessità di un cambio di passo nella lotta al Covid e chiedono una «riflessione urgentissima» con il governo alla luce dell'aumento dei casi, per salvare il Natale ed evitare le restrizioni e chiusure previste per le zone gialle o arancioni. Si continuerà a spingere sulle terze dosi come dimostra la circolare del Commissario per l'emergenza Francesco Figliuolo che dà alle Regioni la possibilità di anticipare le dosi booster ai 40-59enni a partire da lunedì. Per la stretta si vedrà, con un punto fermo però: saranno sempre i numeri, e non le pressioni politiche, a dettare la linea dell'esecutivo.

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VERTICE GOVERNO-REGIONI

Una richiesta di incontro che il governo si dice pronto ad ascoltare e disponibile ad accogliere «a breve», forse già lunedì, anche se la linea di Palazzo Chigi al momento non cambia: le uniche misure sul tavolo sono l'estensione dell'obbligo della terza dose al personale sanitario e la riduzione della durata del certificato verde, che il Consiglio dei ministri dovrebbe discutere nella riunione di giovedì prossimo.

«Il lockdown per i no vax non è oggetto di decisione» conferma il titolare della Farnesina Luigi Di Maio.

Dalla Conferenza delle regioni non arriva una proposta concreta ma la linea è quella del 'doppio binariò per il pass già emersa nei giorni scorsi: un super green pass solo per i vaccinati e i guariti, per poter andare in ristoranti, cinema, teatri, musei, stadi o a sciare nelle regioni che cambieranno colore e uno, ottenibile anche con il tampone, per lavorare e per i servizi essenziali. Una linea in realtà non condivisa all'unanimità, come confermano le parole del presidente delle Marche Francesco Acquaroli - «ulteriori restrizioni non sono utili, creerebbero altre tensioni e divisioni tra chi è vaccinato e chi non lo e» - e la cui fattibilità è tutta da verificare.

Lo ha ricordato il presidente emerito della Consulta Cesare Mirabelli: «mi pare un rimedio difficilmente praticabile e, dal punto di vista normativo, molto rischioso. Se la situazione è così vincolante, questo giustificherebbe l'imposizione di un obbligo di vaccinazione non una sorta di lazzaretto domestico».

Il punto di vista dei presidenti è però un altro. Le Regioni, dice il presidente della Conferenza Massimiliano Fedriga «sono preoccupate» per il peggioramento della curva e per «la ricaduta che tale situazione potrebbe avere sulla ripresa economica e sulle attività sociali, a poche settimane dalle festività natalizie».

PIANO PER NATALE

L'incubo, in sostanza, è veder scattare la zona arancione a ridosso del Natale, con chiusure e restrizioni insostenibili dal punto di vista economico e sociale. Ed è per questo che i governatori stanno comunque già correndo ai riparti, con misure locali come quella disposta dal presidente della Sicilia Nello Musumeci: tampone a chiunque arrivi da Gran Bretagna e Germania e obbligo di mascherina all'aperto nei luoghi affollati. «Si deve evitare in tutti i modi qualsiasi tipo di chiusura, sarebbe devastante per il nostro paese» conferma Attilio Fontana.

Non solo: da giorni le regioni denunciano le sofferenze dei sistemi sanitari, in termini di arretrati da smaltire e di liquidità, con l'emergenza Covid che nel 2021 è già costata 2 miliardi in più di quanto stanziato dal governo. Alle Regioni risponde il ministro per gli Affari Regionali Mariastella Gelmini, dopo averne parlato con il premier Mario Draghi e il ministro della Salute Roberto Speranza. «Il governo è ovviamente disponibile a mettere in agenda a breve un tavolo di confronto».

L'incontro potrebbe esserci già lunedì ma fonti dell'esecutivo ribadiscono che al di là dell'obbligo della terza dose per i sanitari e la riduzione della durata del pass - da 12 a 9 mesi, anche se qualcuno vorrebbe ridurla a 6 - non ci saranno nell'immediato altri interventi. Proprio su questo Speranza ha visto a palazzo Chigi il sottosegretario alla presidenza Roberto Garofoli e nelle prossime ore chiederà al Cts un parere. Restano però i motivi che spingono il governo a frenare: bisogna guardare i numeri.

E i dati italiani dicono che nessuna regione dovrebbe passare nelle prossime ore in giallo e che un un anno fa c'erano 34.282 casi e 753 morti mentre oggi sono 10.638 i casi e 69 le vittime. Non solo, sempre un anno fa erano 3.670 le terapie intensive e 33.504 i ricoveri nei reparti ordinari, numeri neanche lontanamente paragonabili a quelli di oggi, con 503 pazienti in rianimazione e 4.088 nelle aree mediche. Senza dimenticare che ad oggi ci sono circa 8.400 posti di terapia intensiva che, grazie ai ventilatori polmonari acquistati lo scorso anno, possono salire fino a 13mila.

Ecco perché altri interventi non sono per ora sul tavolo e si continuerà a spingere sulle terze dosi come dimostra la circolare del Commissario per l'emergenza Francesco Figliuolo che dà alle Regioni la possibilità di anticipare le dosi booster ai 40-59enni a partire da lunedì. Questo non significa però che anche dalle parti di palazzo Chigi non si sia acceso un campanello d'allarme e sono gli stessi esponenti del governo a sottolinearlo, da Francescini alla Bonetti: servono «misure più rigorose» e «restrizioni per i non vaccinati». Il ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta è ancora più duro: «gli irriducibili devono essere reclusi ed esclusi dalla vita collettiva e dall'economia». E la stessa Gelmini ha ribadito ai governatori il suo ragionamento: nessuno vuole spaccare il Paese, ma se l'aumento delle ospedalizzazioni dovesse portare a nuove restrizioni, non è pensabile mettere sullo stesso piano i vaccinati e i non vaccinati. Si vedrà. Con un punto fermo però: saranno sempre i numeri, e non le pressioni politiche, a dettare la linea del premier.

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