Roma, tagliò la testa alla moglie: ma il Dna del killer è stato trovato anche su altre due donne uccise in Veneto

donna_decapitata_roma
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di Emilio Orlando
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Giovedì 2 Luglio 2020, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 13:05
Una scia di sangue, da Roma a Rovigo. L’assassino che nel 2006 decapitò l’ex moglie a Tor Bella Monaca è infatti il responsabile di un cold case avvenuto nel 1998 sulla spiaggia di Rosolina Mare: vennero trucidate due donne, Elisea Marcon e la figlia adottiva Cristina De Carli. La scoperta sconvolgente è arrivata dopo la morte in carcere di Gaetano Tripodi, l’uomo condannato all’ergastolo per aver tagliato la testa all’ex moglie Patrizia Silvestri, trovata cadavere in una stazione di servizio lungo via Casilina all’alba del 3 maggio del 2006. La sezione omicidi della squadra mobile della questura capitolina e la polizia scientifica, grazie all’analisi genetica di alcuni mozziconi di sigaretta trovati sulla scena del crimine, erano riusciti a risalire al Dna di Tripodi ed inchiodarlo per l’efferato delitto. 








Nonostante l’assassino si fosse sempre dichiarato innocente, il processo si concluse con la condanna all’ergastolo. Un mese fa, Tripodi è morto in cella per cause naturali e, come da prassi, il suo profilo genetico è stato prelevato ed inserito nella banca dati della polizia criminale che dal 2016 contiene i profili di tutti gli arrestati per qualsiasi crimine. «Una pratica ancora inusuale nel 2006 - racconta il genetista forense Enrico Maria Pagnotta - quando il Dna di Tripodi venne confrontato solo con i reperti dell’omicidio di Tor Bella Monaca». 







La procura di Rovigo ha aperto un fascicolo d’indagine, delegate ai carabinieri per ricostruire il massacro in cui morirono madre e figlia e dove viene collocato anche temporalmente, oltre che il suo Dna è stato trovato sugli abiti delle due donne il camionista Gaetano Tripodi all’epoca adepto di una setta satanica. Il duplice delitto avvenne nel chiosco sulla spiaggia gestito da Cristina e Elisea che vennero assassinate a sprangate in testa. «Quando lo incontrai in carcere per concordare la difesa per l’omicidio dell’ex consorte - racconta l’avvocato Giacomo Marini - era un uomo tranquillo, apparentemente incapace di tanta violenza».
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