Juana Cecilia, uccisa dall'ex liberato dal giudice. Il tribunale: «Non poteva prevedere il futuro»

La presidente Cristina Beretti difende le decisioni del giudice: "Il fatto è gravissimo ma è stata applicata la legge"

Juana, uccisa dall'ex che era stato liberato dal giudice. Il tribunale: «Non poteva prevedere il futuro»
Juana, uccisa dall'ex che era stato liberato dal giudice. Il tribunale: «Non poteva prevedere il futuro»
4 Minuti di Lettura
Martedì 23 Novembre 2021, 17:30 - Ultimo aggiornamento: 19:17

Non si placano le polemiche per il femminicidio di Juana Cecilia Loayza, la 34enne uccisa a Reggio Emilia dal suo ex. Mirko Genco, nonostante i 24 anni, aveva dei precedenti per stalking e sua madre era stata uccisa nel 2015 dal compagno. Nonostante questo, il giovane era stato rimesso in libertà con la condizionale dopo il patteggiamento.

Leggi anche > Denise Pipitone, nuove intercettazioni su Anna Corona: «L'è andata a cercare». Le novità a Storie Italiane

A difendere la decisione dei giudici arrivano le parole della presidente del tribunale di Reggio Emilia, Cristina Beretti.

Parole che faranno molto discutere. «Un giudice non ha poteri di chiaroveggenza, non può sapere ciò che accadrà dopo, stante la imprevedibilità delle reazioni umane. Quanto accaduto non è altro che ciò che accade in decine e decine di processi per reati analoghi» - spiega la magistrata - «Pm e giudici applicano la legge, applicano misure cautelari richieste dal Pm calibrando le scelte a seconda del caso concreto, condannano alla pena che appare equa in relazione al caso sottoposto al loro vaglio».

La presidente del tribunale di Reggio Emilia spiega che nel caso di Mirko Genco è stato applicato quanto previsto dalla legge. «Le valutazioni del giudice devono essere le stesse per tutti: comprensione del contesto, accertamento del fatto, applicazione della norma. Diversamente si dovrebbero prevedere categorie di autori per i quali i principi costituzionali non sono applicabili e, questo, è contrario ad un sistema penale di una società liberal democratica» - le dichiarazioni di Cristina Beretti - «L'indagato Mirko Genco non aveva precedenti penali. Era stato sottoposto a misura cautelare, gli è stata applicata la pena di due anni di reclusione, aveva iniziato la frequentazione di un centro di recupero, condizione necessaria per poter avere la sospensione condizionale della pena».

Cristina Beretti non minimizza la gravità dell'accaduto, ma cerca di spegnere le polemiche: «La soppressione di una vita da parte di un altro essere umano è quanto di più grave possa esservi. Ma da qui a cercare responsabilità o capri espiatori su chi non ha fatto altro che applicare la legge, come accade ogni giorno nei tribunali per fatti del tutto analoghi e che nella stragrande maggioranza dei casi hanno epiloghi del tutto differenti, credo che ce ne corra». 

Genco, conferma Beretti, era stato arrestato i primi di settembre per il reato di atti persecutori nei confronti della vittima. In esito alla convalida dell'arresto il giudice, accogliendo la richiesta del Pm, ha applicato il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, «misura introdotta dalla Legge 39/09 in occasione dello stesso intervento legislativo che ha configurato il delitto di atti persecutori». Ma «la misura è stata violata, Genco è stato nuovamente arrestato e il giudice ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere». Quindi, «a seguito di manifestazione di disponibilità dei nonni dell'imputato ad accoglierlo in regime di arresti domiciliari, la custodia in carcere è stata sostituita con quella degli arresti domiciliari».

«Ricordo a me stessa - aggiunge la presidente - che il legislatore prevede che la misura carceraria possa essere applicata solo quando ogni altra misura cautelare risulti inidonea. La misura degli arresti domiciliari non risulta essere stata violata». Genco ha, dunque, chiesto l'applicazione della pena di due anni di reclusione, pena sospesa: «Ricordo che il rito premiale del cosiddetto patteggiamento comporta la riduzione di un terzo della pena che si sarebbe applicata». A quel punto il pm, togato, «ha prestato il suo consenso». E il giudice, anch'esso togato, «ha ratificato l'accordo e ha subordinato la sospensione della pena alla partecipazione dell'imputato a specifici percorsi di recupero, così come prevede l'articolo 165 del codice penale. Tale previsione è stata introdotta dal legislatore specificamente per tali tipologie di reato con scopo rieducativo specifico. Genco, a quanto consta, aveva iniziato un percorso in un centro specializzato in prevenzione, recupero e assistenza psicologica di soggetti condannati, tra gli altri, per il reato di atti persecutori».

© RIPRODUZIONE RISERVATA