L'ivermectina tra le cure domiciliari contro il Covid? Non praticabile sull'uomo. A parlare è Francesco Scaglione, docente di farmacologia all'università degli Studi di Milano, responsabile del Centro antiveleni dell'ospedale Niguarda del capoluogo lombardo, che - dopo il clamore sollevato ultimamente su questa molecola e su altre presunte cure che neutralizzerebbero il coronavirus Sars-CoV-2, spinte sui social in particolare da chi osteggia il vaccino - all'Adnkronos Salute ricostruisce le tappe che hanno portato a stroncare l'approccio.
«Quella dell'ivermectina è una lunga storia, risale a un anno fa più o meno, quando si proponevano per trattare Covid-19 una quantità enorme di farmaci». Il contesto era quello post prima ondata pandemica, i medici si erano trovati 'disarmati' davanti a un virus sconosciuto, la ricerca si era messa subito in moto. «Tra le molecole proposte è venuta a galla anche l'ivermectina per una ragione molto semplice: venivano presi in considerazione i farmaci che avessero dimostrato in vitro un'attività contro il virus», afferma Scaglione. «L'ivermectina - farmaco che viene utilizzato prevalentemente in veterinaria ma anche nell'uomo per le infestazioni da Strongyloides, un verme - aveva dimostrato di possedere questa attività antivirale. Il problema, però, è che purtroppo non è usabile, perché la dose che sarebbe efficace sul virus in vitro è circa 35 volte più alta di quella utilizzabile in vivo» nell'uomo.
«Sull'uomo non è praticabile, ecco perché»
«Io me ne ero occupato all'epoca - ricorda - perché per la Regione Lombardia facevo parte di un gruppo che analizzava i vari farmaci e avevamo anche mandato una specie di memoria all'Agenzia del farmaco Aifa, perché il problema dell'ivermectina è che si tratta una via impraticabile contro Covid. Quando ho fatto l'analisi e ho calcolato la dose che bisognava utilizzare ho detto subito: è impossibile». Non solo, aggiunge Scaglione: «Anche considerando stratagemmi come per esempio somministrarla in soluzione alcolica perché venga assorbita un pò di più è difficilissimo - quasi impossibile - raggiungere concentrazioni utili. Ci sono state anche delle proposte di studi e protocolli in Italia e in giro per il mondo. È stata provata, ma risultati zero. Fin qui tutto bene. Poi però quando tutto questo finisce in pasto al pubblico, la gente magari pensa di comprare questi farmaci su Internet».
Come è successo ad esempio negli Usa, dove la Fda ha lanciato un allarme proprio a seguito di segnalazioni di casi di pazienti che hanno avuto bisogno di cure, compreso ricovero, dopo automedicazione con ivermectina destinata al bestiame.
Gli effetti collaterali choc: «Rischio danni neurologici»
Del resto per usare l'ivermectina in chiave anti-Covid ci sarebbe bisogno «di quantità davvero elevate e le compresse che ci sono in circolazione sono da 200 mg. È una follia ricorrere al farmaco veterinario, che negli animali si somministra in vena - avverte Scaglione - Io ho usato l'ivermectina in vena in un caso sull'uomo, e ho anche pubblicato un lavoro al riguardo, per un'infestazione polmonare da vermi in un paziente con Hiv. L'ho usata chiedendo il permesso ovviamente e la patologia si è risolta, ma a dosaggi di gran lunga inferiori a quelli che servirebbero per Covid: 200 mg in vena anziché per via orale. Per combattere Covid bisognerebbe arrivare a 4-5-6 grammi, è impensabile insomma. E può produrre effetti collaterali importanti: se gli effetti avversi dell'ivermectina vanno dalla nausea al vomito, dalla diarrea al mal di stomaco, quando si alzano i dosaggi ci sono anche danni neurologici».
Idrossiclorochina e gli altri
Altro farmaco che si è guadagnato i riflettori ancora prima dell'ivermectina è stato l'idrossiclorochina: «Sulla scorta di informazioni che arrivavano dalla Cina è stata esplorata anche questa via - ricorda il farmacologo - ma anche qui è sempre una questione di dose: per la malaria si usa a un massimo di 600 mg al giorno, per Covid bisognerebbe salire a 1 grammo e mezzo, o due, col rischio di effetti collaterali cardiaci. Molti di questi farmaci proposti che in vitro si è visto potrebbero avere effetto, incluso l'azitromicina, richiederebbero concentrazioni molto al di sopra rispetto a quelle che si possono usare per l'uomo. Con ivermectina, poi, bisogna andare molto alti ed è difficile che uno si prenda 8-10-20 compresse. Non sono impiegabili questi prodotti - conclude Scaglione - tanto è vero che poi anche le agenzie del farmaco europea (Ema) e italiana (Aifa) e l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) hanno detto che non sono utili».