Intercettazioni, via libera del Cdm: la riforma sarà in vigore tra 6 mesi. Ecco cosa cambia

Intercettazioni, via libera del Cdm: la riforma sarà in vigore tra 6 mesi. Ecco cosa cambia
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Venerdì 29 Dicembre 2017, 13:05 - Ultimo aggiornamento: 19:03

Mai più intercettazioni che servono soltanto a alimentare il gossip o che vengono usate per ledere l'immagine delle persone coinvolte o peggio di chi con le indagini non c'entra nulla. Nel primo Consiglio dei ministri dopo lo scioglimento delle Camere, il governo dà il via libera definitivo alla riforma degli ascolti, attesa da un decennio. Ed è il ministro della Giustizia Andrea Orlando, «padre» della nuova legge - che entrerà in vigore tra 6 mesi - a evidenziarne la portata, lasciando Palazzo Chigi alla fine della riunione. D'ora in avanti «abbiamo un Paese che utilizza le intercettazioni per contrastare la criminalità e non per alimentare i pettegolezzi o distruggere la reputazione di qualcuno», dice il Guardasigilli, spiegando che la riforma «impone una serie di vincoli e divieti», «senza restringere» il ricorso a questo strumento investigativo, «ma anzi autorizzando ad intercettare in un modo più agevole», soprattutto quando si tratta di reati contro la pubblica amministrazione.

Obiettivo dichiarato è impedire di usare le conversazioni captate «come strumento di diffusione di notizie improprie». Con le nuove regole le ordinanze dei giudici potranno contenere solo i «brani essenziali» delle intercettazioni quando servono a motivare la misura. E i colloqui irrilevanti non dovranno nemmeno essere trascritti dalla polizia giudiziaria nei brogliacci, ma finire in un archivio di cui avrà la responsabilità il pm. Una norma che inquieta l'Associazione nazionale magistrati perché darebbe troppo potere alla polizia giudiziaria e non consentirebbe un effettivo controllo del pm sul suo operato, con il rischio che eventuali errori non potrebbero essere nemmeno scoperti. Si tratta di «una preoccupazione non fondata» assicura Orlando, spiegando che il testo «è cambiato nel senso auspicato dall'Anm anche se non esattamente come richiedeva» e che la polizia giudiziaria interloquisce con il pm, che resta «il dominus» dell'indagine. Ma il presidente dell'Anm Eugenio Albamonte ribadisce l'allarme lanciato ieri con un'intervista all'Ansa: con queste regole «è praticamente impossibile il controllo del pm» ed «è singolare che dopo la vicenda Consip, per citare la ferita aperta di intercettazioni mal trascritte, non si sia voluto garantire un sistema che consenta di verificare ex post eventuali errori di valutazione commessi dalla polizia giudiziaria». La riforma, che ha tenuto conto anche dei pareri espressi dalle Commissioni Giustizia di Camera e Senato, è stata più volte rimaneggiata prima di arrivare al testo definitivo.

Una prima bozza, accogliendo la richiesta di alcuni procuratori a partire da quello di Roma Giuseppe Pignatone, prevedeva che nelle ordinanze non potessero essere riportati virgolettati delle intercettazioni ma solo sunti. E nell'ultima versione è ricomparsa la norma, presente nel testo originario ma in seguito cancellata, che consente ai giornalisti di ottenere la copia delle ordinanze di custodia cautelare una volta che siano state rese note alle parti. A differenza delle altre, questa disposizione entrerà in vigore tra un anno. E il perché lo ha spiegato Orlando: il governo aspetta di vedere se effettivamente le ordinanze dei giudici cambieranno e non resteranno il «copia e incolla» di quanto contenuto nelle richieste del pm e negli atti di indagine.

Altre modifiche dell'ultim'ora hanno riguardato i diritti di difesa, vietando la verbalizzazione delle conversazioni tra indagato e difensore, captate per errore ed estendendo da 5 a 10 giorni (prorogabili anche a 30 nel caso la documentazione sia molto corposa) il termine entro il quale gli avvocati possono esaminare il materiale intercettato, una volta che sia stato depositato, custodito nell'archivio riservato del pm. Modifiche ritenute di dettaglio dall'Unione delle Camere penali, secondo cui l'intero impianto della legge punta a garantire la privacy a scapito del diritto di difesa, che viene «fortemente limitato».

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