Giulio Regeni, la Procura egiziana non darà all'Italia i nomi dei sospettati: «Processo immotivato»

Giulio Regeni, la Procura egiziana non darà all'Italia i nomi dei sospettati: «Processo immotivato»
Giulio Regeni, la Procura egiziana non darà all'Italia i nomi dei sospettati: «Processo immotivato»
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Mercoledì 30 Dicembre 2020, 16:22

Fare in Italia il processo per la morte di Giulio Regeni è «immotivato»: lo scrive la Procura generale egiziana, che in un comunicato accredita la tesi che imprecisate «parti ostili a Egitto e Italia vogliano sfruttare» il caso di Regeni «per nuocere alle relazioni» tra i due paesi. Ciò sarebbe provato dal luogo del ritrovamento del corpo e dalla scelta sia del giorno del sequestro sia di quello del ritrovamento del cadavere, avvenuto proprio durante una missione economica italiana al Cairo, si sostiene nel testo.

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La procura egiziana ha fatto sapere che non fornirà a quella italiana i nomi di tutti gli stranieri che sono stati arrestati o fermati dalla polizia del Cairo dalla notte della scomparsa di Giulio Regeni al giorno in cui è stato ritrovato il suo cadavere, riporta la nota in cui si legge che non sarà nemmeno soddisfatta la richiesta della procura italiana di svelare le identità delle persone che erano presenti nelle cinque stazioni metropolitane del Cairo la notte della scomparsa del ricercatore friulano e che sono state identificate tramite i loro cellulari.

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La magistratura italiana il 10 dicembre scorso aveva chiuso le indagini contro 4 appartenenti ai servizi egiziani, passo che precede l'apertura di un processo. Ma la nota diffusa da Il Cairo torna a sottolineare che il Procuratore «ha incaricato le parti cui è affidata l'inchiesta di proseguire le ricerche per identificare» i responsabili. Per la Procura «sconosciuti potrebbero aver sfruttato» i movimenti di Regeni «per commettere il crimine, scegliendo il 25/1/2016 (anniversario della rivoluzione del 2011, ndr) perché sapevano che la sicurezza egiziana era occupata a garantire la sicurezza delle istituzioni dello Stato».

Il responsabile «avrebbe dovuto rapirlo e torturarlo affinché il crimine fosse attribuito alla sicurezza egiziana, ha gettato il suo corpo a lato di una struttura importante appartenente alla polizia e in coincidenza con la visita in Egitto di una delegazione economica» italiana, si sostiene nel testo con implicito riferimento alla missione condotta dall'allora ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. «Tutto ciò come se il criminale avesse come scopo quello di informare il mondo intero della sua morte e di attirare l'attenzione» su di essa, viene aggiunto.

«Ciò prova alla Procura generale che parti ostili all'Egitto e all'Italia vogliono sfruttare questo incidente per nuocere alle relazioni fra i due Paesi nel momento in cui questi rapporti avevano avuto ultimamente sviluppi positivi», si afferma nella nota. «Queste parti sono anche sostenute da media noti per la loro istigazione dei conflitti», sostiene ancora il comunicato aggiungendo che «la Procura generale», sulla base delle «circostanze di questo caso e alla luce di questa analisi, ritiene che ci sia un altro lato che non è stato ancora svelato dalle inchieste, come anche l'autore» del crimine.

"PROCESSO IMMOTIVATO" «Il Procuratore generale ha annunciato che per il momento non c'è alcuna ragione per intraprendere procedure penali circa l'uccisione, il sequestro e la tortura della vittima Giulio Regeni, in quanto il responsabile resta sconosciuto», scrive la Procura. «Il procuratore» generale egiziano Hamada Al Sawi «esclude ciò che è stato attribuito a quattro ufficiali della Sicurezza nazionale a proposito di questo caso», si afferma inoltre nel testo pubblicato sulla pagina Facebook dell'istituzione cairota la quale ha evitato di fornire l'elezione di domicilio degli indagati come richiesto invece dalla Procura di Roma.

«Vista la morte degli accusati, non c'é alcuna ragione di intraprendere procedure penali circa il furto dei beni della vittima, il quale ha lasciato segni di ferite sul suo corpo», aggiunge il comunicato. Il riferimento è ai cinque componenti della «banda criminale» specializzata in rapine a «stranieri», «tra i quali un altro italiano oltre alla vittima», ricorda la nota. Il gruppo fu sgominato in uno scontro a fuoco con forze di sicurezza al Cairo il 24 marzo 2016. Le autorità egiziane sostennero che nel loro covo furono trovati documenti di Regeni, tra cui il passaporto, ma la versione non convinse gli inquirenti italiani. Già nel comunicato congiunto del 30 novembre con la Procura di Roma, quella generale egiziana aveva avanzato «riserve sul quadro probatorio» che, a suo dire, è costituito «da prove insufficienti per sostenere l'accusa in giudizio». 

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