Giornata contro la violenza sulle donne, arrivano condanne più severe e il braccialetto elettronico. Gli interventi di Flaminia Bolzan, Maria Elena Boschi e Barbara Gubellini

Ogni giorno le vittime sono 89, il governo vara un pacchetto sicurezza con il giro di vite

Giornata contro la violenza sulle donne, arrivano condanne più severe e il braccialetto elettronico. Gli interventi di Flaminia Bolzan, Maria Elena Boschi e Barbara Gubellini
di Elena Gianturco
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Giovedì 25 Novembre 2021, 05:01 - Ultimo aggiornamento: 19:15

Nella giornata contro la violenza sulle donne, arriva la stretta del Governo. È già pronto il pacchetto sicurezza per tutelare le vittime di abusi e maltrattamenti. Tra le misure il braccialetto elettronico per i violenti, destinatari dell'obbligo di allontanamento dalla casa familiare o del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima. E se il braccialetto viene rifiutato scattano gli arresti domiciliari.

La criminolga Flaminia Bolzan: «La misogenia e l'odio si combattono educando»

La deputata Maria Elena Boschi: «È una battagglia civile, servono uomini coraggiosi»

La giornalista Barbara Gubellini: «Mostrate come oggetti, anche la tv ha molte colpe»

Nel pacchetto contro la violenza sulle donne a cui stanno lavorando le ministre di Interno e Giustizia, Luciana Lamorgese e Marta Cartabia, insieme alle colleghe Mariastella Gelmini, Elena Bonetti e Mara Carfagna si valuta anche l'innalzamento delle pene minime per l'arresto obbligatorio in flagranza e la possibilità di procedere d'ufficio per violenza domestica, senza la necessità che la donna sporga querela.

L'obiettivo delle misure che andranno in Consiglio dei ministri già la prossima settimana è quello di prevenire violenze e femminicidi. Sono infatti allarmanti i dati diffusi in occasione della Giornata internazionale contro la violenza delle donne. Ogni giorno sono 89 le vittime di violenza in Italia. Dall'inizio dell'anno sono state uccise 109 donne (+8%), 93 in ambito familiare-affettivo. «Barbarie non è un termine esagerato» e «la gravità dei fatti chiamano le istituzioni anche a ripensare norme e procedure più adeguate, consapevoli che serve un approccio globale» ha detto la ministra della Giustizia.

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GLI INTERVENTI

 

Flaminia Bolzan, criminologa: «La misogenia si batte educando»

Il termine femminicidio, divenuto di uso comune grazie a Diana Russell, ha introdotto un approccio teorico che ha cercato di invertire le forme strutturanti del potere patriarcale e le sue correlazioni all’interno del sistema sociale. Se ne definisce infatti il significato ad indicare l’uccisione misogina delle donne da parte degli uomini, motivata dall’odio, dal disprezzo, dal piacere o da un senso di proprietà, quindi da indagare nel contesto dell’oppressione generale del femminile in una società patriarcale. Va da sé che oggi dobbiamo effettuare un distinguo tra gli “omicidi di donne” e i femminicidi propriamente classificabili come tali ragionando seriamente sulla necessità di scardinare un modello culturale che vede ancora, troppo spesso, una società che si caratterizza a partire dalla costruzione di una rappresentazione del maschile come “dominante” e un femminile “remissivo”. La vera sfida nell’ottica del raggiungimento dell’obiettivo condiviso di ridurre i numeri allarmanti del fenomeno deve partire proprio dall’educazione, prima ancora che dalla semplice risposta sanzionatoria. (Flaminia Bolzan)

Maria Elena Boschi, deputata: «Ora servono uomini coraggiosi»

Protagoniste, indipendenti, ma non sole. Sono queste le condizioni che dobbiamo creare per fermare una violenza che sembra non avere fine. Violentate, perseguitate, ferite, uccise. Non siamo vittime di un raptus, di gesti sconsiderati, di un impeto di gelosia, siamo uccise perché donne. Dico “siamo” volutamente perché praticamente tutte noi abbiamo vissuto un episodio di molestia o di violenza psicologia o fisica nella nostra vita. Dico “siamo” perché ciascuna di noi può diventare vittima di un partner presente o passato o di uno sconosciuto. Ma dico “siamo” perché quello che fanno a una donna in quanto donna, lo fanno a ciascuna di noi.  Mi sono sempre battuta da ministra, da parlamentare, da donna per fermare questa strage. E nonostante ci sia ancora una vittima ogni tre giorni e un dolore che si rinnova ogni volta, non mi arrendo al senso di impotenza pensando alle tante donne che ogni anno si salvano grazie alle politiche messe in campo dallo Stato, grazie al lavoro prezioso dei centri anti violenza, grazie soprattutto al coraggio delle donne che denunciano. 
La ministra Bonetti ha appena presentato il nuovo piano anti violenza, il nostro gruppo di Italia Viva, grazie alla perseveranza della nostra collega Lucia Annibali, e’ riuscito ad ottenere una misura importante come il reddito di liberta’ per sostenere economicamente le donne vittime di violenza in un percorso di emancipazione ed autonomia.
Siamo consapevoli pero’ che dobbiamo fare ancora di più tutti insieme, senza distinzioni di partito.
Abbiamo bisogno una gigantesca operazione educativa che parta dalle famiglie e dalla scuola per insegnare il rispetto per le differenze e garantire le pari opportunità fin da bambini. 
In questa battaglia servono uomini capaci di rappresentare un modello di riferimento, contro ogni stereotipo di genere. Uomini che abbiano il coraggio di dire con forza che la battaglia per i diritti delle donne non e’ una questione da donne. E’ una questione di civiltà, di democrazia.
Ogni donna ha il diritto di vivere e vivere da donna libera. 
Se per secoli le donne sono state costrette a vivere con la testa chinata, sottomesse, ora possono stare a testa alta. Non chiediamo protezione, non chiediamo privilegi o scorciatoie, ma rivendichiamo diritti e pari opportunità. (Maria Elena Boschi)

Barbara Gubellini, giornalista: «Mostrate come oggetti anche in tv»

In televisione e nei mass media in generale, le donne vittime di violenza il più delle volte sono belle, magre, giovani e raramente i segni della violenza ne alternano la bellezza. Così si genera quel fenomeno che gli esperti chiamano “eroticizzazione” della violenza per cui, paradossalmente, la condizione di vittima finisce quasi per dare più appeal. È solo un esempio, ma è importante per ricordare che chi, come me, lavora in televisione ha una grande responsabilità nel contrasto alla violenza sulle donne. Anche gli stereotipi di genere nei programmi tv possono legittimare la violenza sulle donne. I femminicidi, infatti, non si chiamano così per caso: non si tratta solo di una persona che ne uccide un’altra, ma di un uomo che uccide una donna per il ruolo che quest’ultima ha nella nostra società. Se in televisione continuiamo a mostrare il genere femminile subordinato a quello maschile, non facciamo che alimentare una cultura patriarcale che vede la donna come un oggetto che l’uomo può possedere al punto tale che, se lo decide, può anche eliminarla del tutto. (Barbara Gubellini)

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