Franco Dubbini, guarito dal Coronavirus: «Cura sperimentale, dopo dieci giorni sono di nuovo a casa»

Franco Duppini, 58 anni, libero professionista che risiede al Poggio
Franco Duppini, 58 anni, libero professionista che risiede al Poggio
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Sabato 21 Marzo 2020, 07:02 - Ultimo aggiornamento: 16:37

Dopo dieci giorni all’ospedale Torrette di Ancona, in seguito alla positività al Covid-19, Franco Dubbini, 58 anni, libero professionista del Poggio, è tornato finalmente a casa. Due settimane fa le prime avvisaglie della malattia, la chiamata di un amico con cui si era visto che l’ha messo in allerta, il ricovero. Anche se provato dal trambusto del rientro nella propria abitazione, ci concede un colloquio telefonico per raccontarci la sua esperienza.

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Come si sente adesso? 
«Sto bene, più o meno. Ancora c’è un po’ di percorso da affrontare, ma l’ultimo tampone è negativo». 

Che disposizioni le hanno dato ora?
«Le disposizioni sono un po’ volatili. L’unica cosa sicura è che la cura dura dieci giorni e quindi la finirò a casa. Per il resto tante raccomandazioni: nessun contatto con i conviventi e uso separato della casa».

Ha per caso un’idea di come possa aver contratto la malattia?
«Francamente no. Ma c’è una coincidenza: anche un mio amico, con cui ho avuto contatti alcuni giorni prima di stare male, ha contratto il virus. In ogni caso, tutti coloro che sono stati vicino a noi stanno bene».

Riesce a descriverci i primi sintomi? 
«Ho avuto la febbre, mai salita sopra 37.7, che scendeva in mattinata e saliva nel pomeriggio. Così per alcuni giorni. Non ho mai avuto tosse o raffreddore». 

Cosa è successo dopo? 
«Ho contattato il medico che mi ha consigliato di prendere un antibiotico, ma la situazione è rimasta invariata. Dopo la telefonata del mio amico, che mi comunicava di essere al pronto soccorso e di stare malissimo, mi sono allarmato. Ho richiamato il medico che ha contattato il 118. Mi hanno portato a Torrette e ho fatto il tampone che ha accertato la positività. Inoltre, dopo una radiografia polmonare mi hanno riferito che non sarei tornato a casa. Dopo circa 24 ore di pronto soccorso, sono stato trasferito in reparto ed è iniziato il ricovero». 

In che reparto l’hanno trasferita? 
«All’inizio in uno attrezzato per affrontare unicamente i pazienti positivi al virus, in sostanza riadattato per casi come il mio. Di volta in volta ne attrezzavano altri. La zona era chiusa, non si poteva entrare né uscire se non una persona alla volta». 

Come l’hanno curata? 
«Mi hanno sottoposto a una cura sperimentale. Oltre alle flebo, alla somministrazione di ossigeno e agli antibiotici, la cura consiste nell’assunzione di un antivirale utilizzato per l’Hiv». 

Cosa ha constatato durante il ricovero? 
«Da dentro non si sa bene ciò che accade fuori, o in generale negli altri reparti dell’ospedale. Di sicuro si capisce che c’è una forte emergenza». 

Cosa ha provato in questi giorni? 
«Nel dramma della malattia mi ha colpito la casualità di aver ritrovato un amico, quello che mi ha avvisato appunto della sua positività. Diciamo che ci siamo rincorsi nei vari reparti e alla fine ci siamo ritrovati, prima di uscire definitivamente». 

 

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