Pordenone, meno pazienti, chiuso un reparto Covid. Festa in ospedale: «E' stato uno sforzo immenso»

Pordenone, meno pazienti, chiuso un reparto Covid. Festa in ospedale: «E' stato uno sforzo immenso»
di Cristina Antonutti
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Sabato 11 Aprile 2020, 10:21 - Ultimo aggiornamento: 20:19

In Medicina all'ospedale di Pordenone è come se fosse passato un uragano. Un mese fa nei reparti del direttore Maurizio Tonizzo si stavano gestendo gli strascichi dell’influenza stagionale, quando il Coronavirus, con il primo focolaio di Caneva, ha stravolto tutto e tutti. Dall’oggi al domani sono state create le aree Covid e in corsia sono arrivati a dar man forte nefrologi, diabetologi, pneumologi, pediatri, chirughi, otorinolaringoiatri e perfino una ginecologa. Da qualche giorno la pressione si è allentata, tanto che i malati per la
prima volta sono scesi a 25.

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Dottor Tonizzo, come valuta il trend delle dimissioni?
«Da un mese siamo sotto pressione. Adesso i posti letto Covid occupati sono 25, un reparto Covid è stato chiuso e abbiamo mantenuto 40 posti letto. Bisogna tenere alta l’attenzione, perchè questo virus non ci lascerà. Lo avremo per mesi, magari di bassa intensità. Adesso aspettiamo i pazienti che lasceranno la terapia intensiva per la riabilitazione respiratoria e motoria, ci aspetta un altro tipo di paziente».
Quanti malati avete trattato?
«In un mese sono stati 144, quasi tutti del Pordenonese. Il 60% sono uomini con un età media di 68 anni e il 40% donne con età media di 73 anni. Il 60% dei nostri ricoverati aveva più 60 anni».
Che risultati avete ottenuto?
«I dimessi sono stati 89. I trasferiti in semintensiva respiratoria sono stati 10, in terapia intensiva 5. Tenendo conto che ci siamo dovuti inventare tutto, perchè non c’era alcuna linea guida, direi che il dato è positivo. Tanti pazienti, ad esempio, hanno complicanze vascolari importanti e abbiamo dovuto a trattarli subito con l’eparina».
Qual è stato il momento più critico?
«Adesso ci siamo stabilizzati, il numero dei contagi è in aumento, però sono persone asintomatiche. Ma due venerdì fa, erano le sette e mezza di sera, eravamo arrivati al punto che se l’andamento dei ricoveri fosse rimasto tale, non avremmo avuto più posti letto. Alle otto e mezza di sera, con le caposale, siamo andati a preparate un’altra area di degenza Covid, temevo che tra sabato e domenica avremmo sforato. Per fortuna non è andata così. È stato un momento molto difficile».
La risposta del personale?
«Grande entusiasmo. Quando ho proposto alla terza medica di portare un’area Covid, in poche ore hanno sbaraccato il piano e spostato tutti i pazienti no Covid. In un pomeriggio sono state preparate due stanze a pressione negativa, con un aspiratore che butta fuori continuamente l’aria. C’è stata una gara di solidarietà da parte di tutti. Ci hanno donato i ventilatori non invasivi: rianimatori e pneumologi sono venuti a insegnarci come usarli. Questo ci ha permesso di crescere professionalmente, purtroppo c’è stato anche qualcuno che si è infettato».
Ieri, Venerdì Santo, il vescovo ha celebrato una messa in ospedale ricordando proprio il vostro sacrificio.
«Sì, è stato toccante. Da noi i contagiati sono due medici che lavoravano in Covid e una decina di infermieri della Medicina. Per fortuna sono stati trattati a casa, soltanto uno è stato ricoverato per un breve periodo. Questo rischio sappiamo che può esserci. Un po’ di patema c’è, i dati nazionali parlano di cento medici e una trentina di infermieri deceduti. Ma nessuno si tira indietro. E non voglio dimenticare i portantini, anche loro garantiscono il servizio». Monsignor Pellegrini ha anche ricordato che ogni giorno incontrate tanti Crocefissi contagiati...
«È la cosa più triste: chi è mancato, è morto da solo. Speriamo di avergli dato un minimo di conforto stando loro vicino».
Quando ritroverà la sua fisionomia l’ospedale?
«Non sarà più quello di prima, dovremo pensare a un’area Covid. Non sappiamo dove e come. Questo virus è una cosa nuova, l’unica terapia possibile saranno i vaccini. È questa una grande lezione per i No Vax».

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